E’ da quando è precipitato nella selva oscura che Dante sa che per recuperare la diritta via e lasciarsi alle spalle le tenebre della cattiveria e della corruzione umana dovrà misurarsi con il Male assoluto. E noi con lui, attendiamo di vederlo da vicino.

E’ Virgilio a presentarcelo: “Ecco Dite…ed ecco il loco / ove convien che di fortezza t’armi”. E deve farsi davvero coraggio Dante, mezzo morto dallo spavento quando si vede davanti “lo ‘mperador del doloroso regno”. E’ disumano nelle dimensioni, orribile nell’aspetto; lui che era “la creatura ch’ ebbe il bel sembiante”, il più bello della schiera degli angeli serafini, è ridotto ad un mostro con il corpo mastodontico ricoperto di peli e tre teste: la bellezza luminosa che gli era stata conferita l’ha perduta per sua volontà, ribellandosi a Dio.

Le angeliche ali sono ancora attaccate, ma non sono più di piume multicolori, bensì ricordano quelle nere e membranacee del pipistrello, e il loro movimento crea il vento che ghiaccia Cocito e imprigiona quelli che come lui sono colpevoli di tradimento.

Il “vermo reo…fora il mondo”: scagliato da Dio dall’alto dell’Empireo, è andato a conficcarsi al centro dell’universo, al centro della Terra, aprendo la voragine infernale sotto Gerusalemme. La sua ribellione ha sovvertito il mondo: i due emisferi si sono scambiati di posto, le terre che prima ricoprivano quello australe sono scomparse e riemerse in quello boreale, lasciando al di là una distesa d’acqua disabitata, su cui si eleva soltanto la montagna del Purgatorio.

Da quel buco non si è più mosso e Dante non gli dà nemmeno la parola: è una scelta originale la sua, perché sappiamo dal racconto biblico che Satana seduce Eva parlandole, e sa anche parlare bene quando nel deserto sottopone Gesù alle sue tentazioni.

Movimento, Luce, Parola sono indizi di vita. Satana non è Parola, non è Logos, non è Verbum: è l’antitesi grottesca della Croce e di Dio.

Virgilio lo annuncia con un verso di un inno liturgico del Venerdì Santo, “Avanzano le insegne del Re dell’Inferno”: una sorta di solenne parodia, dato che Lucifero è immobile per l’eternità e non avanza di un millimetro; Lucifero, il portatore di luce, è immerso nell’oscurità e nella foschia gelata, tanto che ad un primo sguardo Dante lo scambia per un mulino. E’ nel punto più buio dell’universo, lontano dalla luce sfolgorante di Dio.

Le sue tre facce richiamano immediatamente la Trinità, e i colori dell’incarnato, vermiglio, biancastro e nero, ne sono il rovesciamento degli attributi: impotenza, ignoranza e odio a fronte della potenza del Padre, la sapienza del Figlio, l’amore dello Spirito Santo.

Non parlano, non hanno nome né storie da raccontare nemmeno i traditori dei benefattori immobilizzati nel ghiaccio della Giudecca, l’ultima zona di Cocito, ridotti a pagliuzze e in pose scomposte.

Ma è nelle tre bocche di Satana che si consumano insieme qualcosa di raccapricciante e la Somma Giustizia divina: Giuda, Bruto e Cassio sono voracemente divorati nelle gole demoniache, “a guisa di maciulla”.

Il traditore di Gesù “ il capo ha dentro e fuor le gambe mena”, graffiato sulla schiena dalle unghie del carnefice; gli uccisori di Cesare e traditori dell’Impero, e della pace universale da esso garantita, sbucano tra i denti a testa in giù, lordi “di pianto e sanguinosa bava”.

Noi, anche se abbiamo smarrito le certezze di Dante e ci sentiamo legittimati a credere solo ai fatti, restiamo per un attimo sconvolti di fronte alla manifestazione del Male e alla potente fantasia del poeta, che ci confeziona una sceneggiatura strabiliante.

Il colpo di teatro deve però ancora avvenire. Per uscire finalmente da lì e rivedere le stelle i due viaggiatori si dovranno aggrappare ai peli di Satana e calarsi lungo il suo corpo.

[Immagine: G. Girardi, miniatura, 1478 ca. (Roma, Biblioteca Apostoliva Vaticana, cod. Urbinate lat. 365)]

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Ecco Satana, alla fine

E’ da quando è precipitato nella selva oscura che Dante sa che per recuperare la diritta via e lasciarsi alle spalle le tenebre della cattiveria e della corruzione umana dovrà misurarsi con il Male assoluto. E noi con lui, attendiamo di vederlo da vicino.

E’ Virgilio a presentarcelo: “Ecco Dite...ed ecco il loco / ove convien che di fortezza t’armi”. E deve farsi davvero coraggio Dante, mezzo morto dallo spavento quando si vede davanti “lo ‘mperador del doloroso regno”. E’ disumano nelle dimensioni, orribile nell’aspetto; lui che era “la creatura ch’ ebbe il bel sembiante”, il più bello della schiera degli angeli serafini, è ridotto ad un mostro con il corpo mastodontico ricoperto di peli e tre teste: la bellezza luminosa che gli era stata conferita l’ha perduta per sua volontà, ribellandosi a Dio.

Le angeliche ali sono ancora attaccate, ma non sono più di piume multicolori, bensì ricordano quelle nere e membranacee del pipistrello, e il loro movimento crea il vento che ghiaccia Cocito e imprigiona quelli che come lui sono colpevoli di tradimento.

Il “vermo reo...fora il mondo”: scagliato da Dio dall’alto dell’Empireo, è andato a conficcarsi al centro dell’universo, al centro della Terra, aprendo la voragine infernale sotto Gerusalemme. La sua ribellione ha sovvertito il mondo: i due emisferi si sono scambiati di posto, le terre che prima ricoprivano quello australe sono scomparse e riemerse in quello boreale, lasciando al di là una distesa d’acqua disabitata, su cui si eleva soltanto la montagna del Purgatorio.

Da quel buco non si è più mosso e Dante non gli dà nemmeno la parola: è una scelta originale la sua, perché sappiamo dal racconto biblico che Satana seduce Eva parlandole, e sa anche parlare bene quando nel deserto sottopone Gesù alle sue tentazioni.

Movimento, Luce, Parola sono indizi di vita. Satana non è Parola, non è Logos, non è Verbum: è l’antitesi grottesca della Croce e di Dio.

Virgilio lo annuncia con un verso di un inno liturgico del Venerdì Santo, “Avanzano le insegne del Re dell’Inferno”: una sorta di solenne parodia, dato che Lucifero è immobile per l’eternità e non avanza di un millimetro; Lucifero, il portatore di luce, è immerso nell’oscurità e nella foschia gelata, tanto che ad un primo sguardo Dante lo scambia per un mulino. E’ nel punto più buio dell’universo, lontano dalla luce sfolgorante di Dio.

Le sue tre facce richiamano immediatamente la Trinità, e i colori dell’incarnato, vermiglio, biancastro e nero, ne sono il rovesciamento degli attributi: impotenza, ignoranza e odio a fronte della potenza del Padre, la sapienza del Figlio, l’amore dello Spirito Santo.

Non parlano, non hanno nome né storie da raccontare nemmeno i traditori dei benefattori immobilizzati nel ghiaccio della Giudecca, l’ultima zona di Cocito, ridotti a pagliuzze e in pose scomposte.

Ma è nelle tre bocche di Satana che si consumano insieme qualcosa di raccapricciante e la Somma Giustizia divina: Giuda, Bruto e Cassio sono voracemente divorati nelle gole demoniache, “a guisa di maciulla”.

Il traditore di Gesù “ il capo ha dentro e fuor le gambe mena”, graffiato sulla schiena dalle unghie del carnefice; gli uccisori di Cesare e traditori dell’Impero, e della pace universale da esso garantita, sbucano tra i denti a testa in giù, lordi “di pianto e sanguinosa bava”.

Noi, anche se abbiamo smarrito le certezze di Dante e ci sentiamo legittimati a credere solo ai fatti, restiamo per un attimo sconvolti di fronte alla manifestazione del Male e alla potente fantasia del poeta, che ci confeziona una sceneggiatura strabiliante.

Il colpo di teatro deve però ancora avvenire. Per uscire finalmente da lì e rivedere le stelle i due viaggiatori si dovranno aggrappare ai peli di Satana e calarsi lungo il suo corpo.

[Immagine: G. Girardi, miniatura, 1478 ca. (Roma, Biblioteca Apostoliva Vaticana, cod. Urbinate lat. 365)]

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