L’amore e i libri hanno segnato la vita di Dante: l’amore per Firenze e le donne, la passione viscerale per la politica, il desiderio di conoscere e diffondere la cultura. E nella sua “Commedia” l’amore è ovunque: procede dal basso verso l’alto, dai sensi allo spirito; è passionale e familiare, terreno e divino, disperato e soave, violento ed elegiaco. Con buona pace di Romeo e Giulietta, nel celeberrimo V canto dell’Inferno incontriamo gli innamorati più famosi della letteratura assurti a mito universale, Paolo e Francesca, che si lasciarono andare alla passione sulle note della vicenda di Lancillotto e Ginevra: “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”, il romanzo cortese di Chretien de Troyes.

Ma il canto è pieno di uomini e donne che sono stati travolti dalla bufera dei sensi, una schiera di anime che fanno “di sé sì lunga riga”, e tutti hanno a che fare con un libro: Didone e l’ “Eneide”, Elena, Paride e Achille e l’ “Iliade”, Tristano e la narrativa bretone.

Ma perché sono all’inferno, se hanno amato? Come possono due innamorati, abbracciati a perpetuare la memoria della giovinezza e della bellezza, strappati via alla vita violentemente, raccontati da un’anima bella e affabile, una donna colta e raffinata, in una parola “cortese”, finire trascinati per l’eternità “dalla bufera che mai non resta”?

Perché “la ragion sommettono al talento”, ci dice Dante. Sentimento e attrazione non possono sopraffare il voler bene all’altro, la sua realizzazione; non possono tradursi in mera soddisfazione carnale non frenata né illuminata da più alti valori, o addirittura mascherata dal fascino dell’amore impossibile o dall’equivoco letterario dell’amore che salva e raffina.

L’amore che salva davvero è quello che si nutre delle lacrime di Beatrice che, preoccupata per lo smarrimento di chi ama, scende all’inferno per chiedere soccorso per lui e teme di essersi mossa troppo tardi.

Francesca sceglie in nome del proprio piacere, e trascina con sé Paolo nella dannazione eterna; Beatrice guida il suo amante a veder “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

La “Vita nuova”, il libro dell’esordio letterario di Dante, è dedicato a lei e si chiude con la promessa di scrivere in futuro cosa più degna che nessuno ha mai scritto per nessuna.

Trent’anni dopo la morte della “gentilissima” l’Alighieri conclude un poema in suo nome, guidato da un sentimento così forte che merita di essere consacrato nel capolavoro di una vita.

[Immagine: Gaetano Previati, “Paolo e Francesca”, 1887. Bergano, Accademia Carrara]

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Claudia Cominoli

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Gli innamorati e un libro

L’amore e i libri hanno segnato la vita di Dante: l’amore per Firenze e le donne, la passione viscerale per la politica, il desiderio di conoscere e diffondere la cultura. E nella sua “Commedia” l’amore è ovunque: procede dal basso verso l’alto, dai sensi allo spirito; è passionale e familiare, terreno e divino, disperato e soave, violento ed elegiaco. Con buona pace di Romeo e Giulietta, nel celeberrimo V canto dell’Inferno incontriamo gli innamorati più famosi della letteratura assurti a mito universale, Paolo e Francesca, che si lasciarono andare alla passione sulle note della vicenda di Lancillotto e Ginevra: “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”, il romanzo cortese di Chretien de Troyes.

Ma il canto è pieno di uomini e donne che sono stati travolti dalla bufera dei sensi, una schiera di anime che fanno “di sé sì lunga riga”, e tutti hanno a che fare con un libro: Didone e l’ “Eneide”, Elena, Paride e Achille e l’ “Iliade”, Tristano e la narrativa bretone.

Ma perché sono all’inferno, se hanno amato? Come possono due innamorati, abbracciati a perpetuare la memoria della giovinezza e della bellezza, strappati via alla vita violentemente, raccontati da un’anima bella e affabile, una donna colta e raffinata, in una parola “cortese”, finire trascinati per l’eternità “dalla bufera che mai non resta”?

Perché “la ragion sommettono al talento”, ci dice Dante. Sentimento e attrazione non possono sopraffare il voler bene all’altro, la sua realizzazione; non possono tradursi in mera soddisfazione carnale non frenata né illuminata da più alti valori, o addirittura mascherata dal fascino dell’amore impossibile o dall’equivoco letterario dell’amore che salva e raffina.

L’amore che salva davvero è quello che si nutre delle lacrime di Beatrice che, preoccupata per lo smarrimento di chi ama, scende all’inferno per chiedere soccorso per lui e teme di essersi mossa troppo tardi.

Francesca sceglie in nome del proprio piacere, e trascina con sé Paolo nella dannazione eterna; Beatrice guida il suo amante a veder “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

La “Vita nuova”, il libro dell’esordio letterario di Dante, è dedicato a lei e si chiude con la promessa di scrivere in futuro cosa più degna che nessuno ha mai scritto per nessuna.

Trent’anni dopo la morte della “gentilissima” l’Alighieri conclude un poema in suo nome, guidato da un sentimento così forte che merita di essere consacrato nel capolavoro di una vita.

[Immagine: Gaetano Previati, “Paolo e Francesca”, 1887. Bergano, Accademia Carrara]

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