Arrivato nel cielo del Sole, Dante si concede di confrontare la gioia esaltante della beatitudine con gli effimeri piaceri del mondo. È una condanna radicale della società utilitaristica del denaro, delle banche e degli affari, la società dell’inganno e della morale meschina, della Chiesa in cui si è rifugiata la cupidigia della lupa, annidata nella nuova sede pontificia ad Avignone.
Ma alla logica mercantile del denaro non ci si può opporre se non con una scelta rivoluzionaria e in modo scandaloso.
La vita di San Francesco d’ Assisi è inquadrata in una cornice profetica: la sua nascita e la fondazione dell’Ordine rientrano nel disegno provvidenziale di Dio, che chiama il campione della fede e dell’amore (insieme a San Domenico) a sostenere la Chiesa corrotta del suo tempo.
Ma Dante è uno scrittore che ha il dono di capire quando ci si trova davanti ad una personalità eccezionale, e del santo di Assisi crea forse il migliore dei suoi ritratti indimenticabili.
Non cercate nei versi del canto 11 del Paradiso le scene dell’agiografia tradizionale: niente miracoli, niente allodole né il lupo di Gubbio; nemmeno i contrasti interni all’ Ordine francescano, che resero amarissimi gli ultimi anni di vita di Francesco. Il santo ritratto da Dante non è il poverello di Assisi mansueto e docile, ma un fiero e solitario personaggio dalla tempra combattiva, che ha regalmente presentato la sua Regola al papa e ha predicato il Vangelo tra gli infedeli in Oriente.
Ed è soprattutto un uomo che ha scelto come sposa, contro il parere della famiglia, una donna a cui ‘la porta del piacer nessun disserra’; una donna da tutti ‘dispetta e scura’, ma che suscita pensieri santi e consente tanta pace: Madonna Povertà.
Quella di Francesco era una cristianità essenziale, vicina agli ultimi; non è mai salito su un pulpito avvolto in abiti preziosi, non ha chiesto sacrifici e rinunce senza prima imporli a se stesso. Si è spogliato dei suoi privilegi per incarnare il messaggio di povertà e uguaglianza di Cristo, per rifondare le relazioni tra gli uomini su valori che non fossero il denaro e il potere.
L’imitazione di Cristo sofferente è stata esemplare: Gesù è nato povero in una stalla ed è morto nudo sulla Croce; Francesco si è spogliato delle sue ricchezze e ha voluto morire alla Porziuncola, nel grembo di Madonna Povertà: ‘e al suo corpo non volle altra bara’.
Ci ha lasciato un messaggio che risuona attuale, invitando all’umiltà come antidoto all’arroganza; a sentirci fratelli e a guardare al bene comune come reazione all’individualismo e al conformismo; ci esorta all’apertura al dialogo e al rispetto per la Madre Terra.
All’intero creato ha dedicato un ‘Cantico’ immortale, considerato il primo testo della nostra letteratura. E’ un richiamo alla bellezza del Sole, della Luna e delle Stelle; con parole semplici e immagini accessibili ci restituisce l’essenza dei fenomeni naturali e le qualità di vento, acqua e fuoco; della terra con i suoi fiori, erbe e frutti.
‘Laudato si’, o mio Signore, cum tucte le tue creature’. Non l’abbiamo capito il messaggio di Francesco, o meglio, lo abbiamo tradito: il mondo terreno non è un contenitore di risorse da sfruttare e non è riducibile al semplice dato naturale; è un mondo vitale nel quale si sviluppano relazioni e si definisce l’identità umana.
I versi del ‘Cantico’ implicano un rapporto di reciprocità tra l’uomo e tutti gli esseri viventi. La meraviglia del mondo, anche per chi non crede che sia opera di Dio, richiede di essere compresa nella prospettiva della comunione e della fraternità.
In tutto il mondo, anche in quello non cristiano, San Francesco esercita un singolare fascino. Non si può spiegare razionalmente, ma se passiamo nei luoghi in cui lui è vissuto, avvertiamo la sua presenza.
Immagine: Giotto, Basilica superiore di Assisi. La rinuncia agli averi. Fine Duecento