Il racconto del “Purgatorio” entra subito nel vivo. Dopo un incipit solenne e colto di natura astronomica arricchito di elementi mitologici, con cui Dante indica semplicemente che è l’alba, il poeta e Virgilio incontrano il primo gruppo di anime appena sbarcate sulla spiaggia: sono indecise, ignorano tutto del luogo, sono ancora legate e intralciate dal ricordo della vita terrena; quando improvvisamente si accorgono di Dante, e soprattutto che è fisicamente vivo, gli si avvicinano sbiancando per lo stupore.
Tra di loro uno spirito lo riconosce: si tratta del musicista fiorentino Casella, un amico di gioventù di Dante che, felice di rivederlo, tenta inutilmente di abbracciarlo, ma per ben tre volte le braccia cingono il vuoto e gli ritornano al petto.
La dinamica dell’incontro introduce due temi portanti della cantica: la fisicità del purgatorio e gli affetti. Le anime espianti mantengono il loro aspetto corporale e tutte le sensazioni fisiche, perché solo così possono patire pene come la sete, la fame, il peso di sassi sulla schiena, il fuoco sulla pelle; ma sono prive di effettiva consistenza, per questo il tentativo di abbraccio da parte di Dante è frustrato.
Il poeta inoltre, più volte insisterà sulla fatica fisica della salita, sulla pesantezza della carne che gli impedisce di procedere spedito; sulla sua ombra, unica a fare velo ai raggi del sole in un mondo popolato di spiriti trasparenti e nostalgici di un corpo rimasto sulla terra, troppe volte strappato con violenza dall’anima.
L’incontro con Casella introduce anche un motivo che costituisce un filo rosso dell’intero percorso, quello degli affetti per gli amici più cari, con i quali il poeta recupera un’intima confidenza, e non è casuale che tra questi amici ci siano soprattutto artisti: dal miniaturista Oderisi da Gubbio all’emozionante ritrovarsi con Forese Donati, che con toni accorati ci dimostra come la vera amicizia, quella fondata sull’autentica condivisione di cuore e interessi, di sbagli e conflitti, dura immutata dopo la morte.
A Casella Dante chiede di confortarlo, facendo quello che in vita tra loro solitamente era una piacevole e gradita consuetudine: cantare per lui, per alleviare con la dolcissima armonia della sua musica l’affanno del cuore e del corpo causato dal viaggio all’inferno. E Casella intona il primo verso di “Amor che ne la mente mi ragiona”, una canzone della produzione stilnovistica che Dante ha poi inserito nel “Convivo”, dedicandola ad una donna allegoricamente interpretata come la Filosofia.
Arte e amicizia: il “Purgatorio” si apre nel segno di un grande omaggio a ciò che costituisce una componente tanto importante e nobile della formazione umana e soprattutto dell’animo di Dante, ma tuttavia terrena, quindi non sufficiente per proseguire il viaggio, tanto meno se l’arte si riduce a strumento per procurare un diletto fine a se stesso.
E anche il binomio musica e poesia ha un potere immenso, fin da quando Orfeo, cantore originario della Tracia, modulando la sua voce straordinaria ammansiva i sassi e le fiere e convinceva l’inflessibile re dell’oltretomba a restituire alla vita la moglie Euridice.
Eppure, anche di fronte alle cose più belle e alte della terra non si può indugiare, bisogna proseguire il cammino verso una meta che è oltre l’umano.
Tutti assorti e distratti dall’incantevole esecuzione di Casella, gli spiriti, e Dante e Virgilio con loro, vengono rimproverati da Catone, il custode del purgatorio, che li esorta a proseguire: li vediamo disperdersi rapidamente, come colombe sorprese da un rumore improvviso.
[Immagine: Maestro degli Antifonari di Padova, Incontro di Dante e Casella. Manoscritto Egerton MS 943, XVI secolo. British Library]