Termina con oggi l'appuntamento settimanale con la rubrica "Andate all'Inferno" dedicata all'anno dantesco. Grazie a tutti i lettori che l'hanno seguita; chi se la fosse persa può recuperare tutte le puntate nell'apposita sezione dedicata alle rubriche

Siamo alla fine del cammino, quello iniziato da Dante nella selva oscura e anche quello della nostra narrazione nell’anno delle celebrazioni del sommo poeta.

Guidato da Beatrice, la cui bellezza si accresce ad ogni nuovo cielo che attraversano, Dante percorre sfera dopo sfera fino a salire all’Empireo fatto di sola luce, incorporea e a noi ignota, ma che ancora accoglie una serie di realtà sensibili: la rosa dei beati, gli angeli, Maria.

Ma davanti agli occhi di Dante sparisce ogni forma. E’ solo di fronte al raggio della luce divina, è immerso nel silenzio e nell’infinito. Improvvisamente il poeta avverte che anche Beatrice lo ha lasciato, come già accaduto con Virgilio. La spiegazione è impeccabile: la ragione lo ha guidato fin dove lo ha potuto sostenere; ora anche la fede non serve più.

Dov’è, Lei?, chiede Dante ancora una volta. Dov’è quella donna vestita di rosso, incontrata per la prima volta una mattina a Firenze, che lo stregò con i suoi occhi luminosi e gli rivolse un saluto; sposa di un altro e morta di parto a 24 anni?

Dante lo aveva promesso, alla fine della “Vita nuova”: si era proposto ‘di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei’; e, se la sua vita fosse durata, ‘io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna’.

Ora la colloca nella rosa dei beati, sfolgorante di bellezza: ringrazia da lontano colei che è simbolo di tutta la sua vita e della sua vicenda poetica. La risposta di Beatrice è ancora in uno sguardo, in un sorriso che ha percorso l’intera storia spirituale di Dante.

‘Così orai; e quella sì lontana / come parea, sorrise e riguardommi; / poi si tornò all’etterna fontana’.

Un altro paio di occhi, quelli della Vergine ‘da Dio diletti e venerati’, intercedono per lui, per sostenerlo nel momento in cui il poeta si accinge a narrare l’indescrivibile, anche se quello che ha visto svanisce come un sogno, la rarefazione dei ricordi diventa la costante della narrazione. Provateci voi, a vedere Dio e a raccontarlo.

‘L’ardor del desiderio in me finii’: Dante ha portato a termine il suo desiderio, vuol capire, vuole conoscere la natura di Dio e dell’uomo, la verità della vita.

Il poeta comprende il miracolo dell’amore universale che tiene insieme il mondo, l’organicità di tutte le cose nell’unità del disegno divino, che orienta tutti gli eventi al bene: immagina un libro ‘squadernato’ per rendere la nostra esperienza dell’essere e del mondo, diviso, contraddittorio e sofferente, e ci rassicura che è tutto ‘legato con amore in un volume’

E la Trinità? Cosa si inventa per spiegarci la Trinità? Lo fa attraverso l’immagine di tre cerchi che si illuminano e si riflettono a vicenda, di tre colori e della medesima circonferenza.

E poi c’è il mistero più alto, l’Incarnazione del Figlio, che è al di là di qualunque logica terrena. E Dante ci rivela che quando ha fissato la natura più profonda di Dio ha visto un volto umano, la nostra vera immagine, la nostra vera identità: siamo ‘del suo stesso colore’, pensati, voluti e nati dall’eternità. Come è possibile che l’Essere si faccia carne?

Dante vuole capire, si paragona ad un matematico che impazzisce per cercare la quadratura del cerchio, ma pur con tutti i suoi calcoli non trova la formula di cui ha bisogno; quel che manca gli viene svelato da una luce improvvisa della durata di un lampo e la ragione si deve fermare, ci sono cose che la sorpassano. Il viaggio è concluso, la fatica è finita. ‘L’amor che move il sole e l’altre stelle’ afferra il desiderio e la volontà del poeta e lo fa ruotare in totale armonia col resto dell’universo.

Se l’unione mistica con Dio è fuori dal nostro orizzonte laico, cerchiamo almeno di trovare un senso nell’amore per il bene comune, che possa farci davvero uscire migliori dalle crisi: se la vita su questa terra può essere un inferno, ed è il più delle volte un purgatorio, proviamo anche a cercare e a creare squarci di bellezza e di paradiso.

[Immagine. La candida rosa, rielaborazione dalle illustrazioni di G. Dorè]

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Termina con oggi l’appuntamento settimanale con la rubrica “Andate all’Inferno” dedicata all’anno dantesco. Grazie a tutti i lettori che l’hanno seguita; chi se la fosse persa può recuperare tutte le puntate nell’apposita sezione dedicata alle rubriche

Siamo alla fine del cammino, quello iniziato da Dante nella selva oscura e anche quello della nostra narrazione nell’anno delle celebrazioni del sommo poeta.

Guidato da Beatrice, la cui bellezza si accresce ad ogni nuovo cielo che attraversano, Dante percorre sfera dopo sfera fino a salire all’Empireo fatto di sola luce, incorporea e a noi ignota, ma che ancora accoglie una serie di realtà sensibili: la rosa dei beati, gli angeli, Maria.

Ma davanti agli occhi di Dante sparisce ogni forma. E’ solo di fronte al raggio della luce divina, è immerso nel silenzio e nell’infinito. Improvvisamente il poeta avverte che anche Beatrice lo ha lasciato, come già accaduto con Virgilio. La spiegazione è impeccabile: la ragione lo ha guidato fin dove lo ha potuto sostenere; ora anche la fede non serve più.

Dov’è, Lei?, chiede Dante ancora una volta. Dov’è quella donna vestita di rosso, incontrata per la prima volta una mattina a Firenze, che lo stregò con i suoi occhi luminosi e gli rivolse un saluto; sposa di un altro e morta di parto a 24 anni?

Dante lo aveva promesso, alla fine della “Vita nuova”: si era proposto ‘di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei’; e, se la sua vita fosse durata, ‘io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna’.

Ora la colloca nella rosa dei beati, sfolgorante di bellezza: ringrazia da lontano colei che è simbolo di tutta la sua vita e della sua vicenda poetica. La risposta di Beatrice è ancora in uno sguardo, in un sorriso che ha percorso l’intera storia spirituale di Dante.

‘Così orai; e quella sì lontana / come parea, sorrise e riguardommi; / poi si tornò all’etterna fontana’.

Un altro paio di occhi, quelli della Vergine ‘da Dio diletti e venerati’, intercedono per lui, per sostenerlo nel momento in cui il poeta si accinge a narrare l’indescrivibile, anche se quello che ha visto svanisce come un sogno, la rarefazione dei ricordi diventa la costante della narrazione. Provateci voi, a vedere Dio e a raccontarlo.

‘L’ardor del desiderio in me finii’: Dante ha portato a termine il suo desiderio, vuol capire, vuole conoscere la natura di Dio e dell’uomo, la verità della vita.

Il poeta comprende il miracolo dell’amore universale che tiene insieme il mondo, l’organicità di tutte le cose nell’unità del disegno divino, che orienta tutti gli eventi al bene: immagina un libro ‘squadernato’ per rendere la nostra esperienza dell’essere e del mondo, diviso, contraddittorio e sofferente, e ci rassicura che è tutto ‘legato con amore in un volume’

E la Trinità? Cosa si inventa per spiegarci la Trinità? Lo fa attraverso l’immagine di tre cerchi che si illuminano e si riflettono a vicenda, di tre colori e della medesima circonferenza.

E poi c’è il mistero più alto, l’Incarnazione del Figlio, che è al di là di qualunque logica terrena. E Dante ci rivela che quando ha fissato la natura più profonda di Dio ha visto un volto umano, la nostra vera immagine, la nostra vera identità: siamo ‘del suo stesso colore’, pensati, voluti e nati dall’eternità. Come è possibile che l’Essere si faccia carne?

Dante vuole capire, si paragona ad un matematico che impazzisce per cercare la quadratura del cerchio, ma pur con tutti i suoi calcoli non trova la formula di cui ha bisogno; quel che manca gli viene svelato da una luce improvvisa della durata di un lampo e la ragione si deve fermare, ci sono cose che la sorpassano. Il viaggio è concluso, la fatica è finita. ‘L’amor che move il sole e l’altre stelle’ afferra il desiderio e la volontà del poeta e lo fa ruotare in totale armonia col resto dell’universo.

Se l’unione mistica con Dio è fuori dal nostro orizzonte laico, cerchiamo almeno di trovare un senso nell’amore per il bene comune, che possa farci davvero uscire migliori dalle crisi: se la vita su questa terra può essere un inferno, ed è il più delle volte un purgatorio, proviamo anche a cercare e a creare squarci di bellezza e di paradiso.

[Immagine. La candida rosa, rielaborazione dalle illustrazioni di G. Dorè]

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