Egregio Direttore,
la pratica del telelavoro è emersa con forza in queste ultime settimane, come risposta spontanea della gente alla riduzione/ blocco delle attività produttive per il coronavirus. E’ chiaro a tutti che lavorare da casa comporta evidenti e immediati vantaggi sotto l’ aspetto della sicurezza sanitaria, del risparmio di tempo e di soldi delle persone, dell’ evitare ingorghi di traffico, inquinamento dell’ aria, ecc. I vantaggi del telelavoro sono noti da tempo, ma la sua applicazione concreta inizia soltanto oggi sotto la spinta del virus.
Perché questo ritardo? L’ unica spiegazione che ci viene in mente è la resistenza al cambiamento, insieme all’ovvia considerazione che il telelavoro è applicabile soltanto ad una parte, benché maggioritaria, del mondo del lavoro, quella del settore dei servizi. Oggi col telelavoro ci sono però le condizioni tecniche ed organizzative per migliorare contemporaneamente l’ efficienza delle prestazioni lavorative e il benessere di una parte importante del mondo del lavoro.
Ci aspettiamo allora un intervento sistematico delle istituzioni – Comuni, Regioni, Governo – nonché delle aziende, affinché il telelavoro venga incentivato, ampliato, reso permanente con opportuni provvedimenti, ad iniziare dalle iniziative dei Comuni. Ad esempio, a Novara, quanti dipendenti comunali lavorano o potrebbero lavorare da casa tramite il telelavoro?
Che cosa comporta attrezzarli, perché possano lavorare da casa? Quanti sono i dipendenti d’azienda, che potrebbero usare il computer da casa, senza doversi spostare e intasare le strade cittadine? Quanti sono i pendolari, che ogni giorno prendono il treno per andare fuori Novara e viceversa potrebbero lavorare da casa?
Speriamo di avere presto risposta a queste semplici domande, che a sorpresa – non tutto il male viene per nuocere – spuntano nell’occasione della presente emergenza sanitaria.
Fabio Tomei,
presidente di Carp Novara