Con Kenzo Tanaka nell’oscuro mondo dei serial killer giapponesi. L’investigatore privato ideato da Marco Paracchini, scrittore e regista novarese, torna all’opera nel terzo libro della saga che lo vede protagonista. “Il mutilatore” (Golem edizioni) è ambientato nella Tokyo del 2020 e inizia subito con una macabra scoperta: la valigia con all’interno il corpo di una ragazza fatta a pezzi, che si rivelerà ben presto essere il primo tassello di una serie di omicidi assurdi e incomprensibili.
«E’ il terzo episodio della saga, ma può essere letto tranquillamente anche da chi si fosse perso le due storie precedenti – precisa Paracchini – Peraltro un mese fa è uscito il reboot del primo episodio dal titolo “Kenzo Tanaka, indagini a Tokyo” (Re Artù edizioni). Rispetto ai precedenti, qui ho preferito dare più spazio alle riflessioni sulla vita e sul Giappone moderno, attraverso il personaggio dell’ispettore Gamanote, da sempre a fianco di Tanaka. Insomma, è certamente un thriller e c’è un serial killer, ma non è solo una corsa all’assassino».
Perché la scelta di dare vita a un investigatore privato giapponese?
«In effetti da quanto mi risulta sono l’unico autore occidentale ad avere inventato una storia che ruota attorno a un profiler del Sol levante – ammette – La scelta è lagata alla grande passione che nutro per questo Paese, in cui sono stato 6 volte e nel 2008 ho anche vissuto per 3 mesi di fila a Tokyo. Ne ho anche scritto una guida, dal titolo “Tokyo dalla A alla Y” (Libreria geografica ed.), uscita l’anno scorso. Un’esperienza, quella di viverci, molto diversa dalla visita da semplice turista: nonostante gli italiani siano ben visti in generale, ci si sente dei veri e propri stranieri, dei “gaijin” come dicono in Giappone. Vivendoci si è costretti a fare i conti con una mentalità piuttosto chiusa, quella di un popolo che di fatto vive su un’isola e che ha dei locali in cui agli stranieri è vietato l’accesso, con tanto di cartello “Japanese only”. In Italia sarebbe inaccettabile una cosa simile. Uno dei punti a mio sfavore è stato anche quello di avere dei tatuaggi, che i giapponesi associano alla Jakuza, la loro organizzazione criminale».
Dietro a “Il mutilatore” c’è un lungo lavoro di ricerca molto particolare: puoi raccontarlo e spiegarne il perché?
«Per poter parlare dei delitti mi sono documentato su siti italiani e internazionali che riportavano crimini commessi da veri e propri mostri giapponesi e alcuni di essi sono anche citati nel romanzo – spiega – Così come quelli occidentali, anche i serial killer giapponesi hanno dei rituali, ma la differenza sta nel fatto che scelgano sempre vittime molto giovani, soprattutto ragazze e bambini. Devo ammettere che un paio di storie sono riuscite anche a togliermi il sonno per un paio di notti, tanto erano efferate. Il mio obiettivo però non era riportare dettagli troppo truculenti, che infatti non ci sono, ma riuscire a comprendere mondi diversi e dedicarmi all’attualità, in cui la violenza ha ormai trovato troppo spazio, dalla tv ai videogiochi. Messaggio rappresentato attraverso i drammi a cui Tanaka e Gamanote devono dare risposta. E questo mi ha dato l’opportunità di valorizzare la parte introspettiva degli investigatori. Ma posso dire che ci sono anche dei momenti molto ironici. Il libro è adatto a un pubblico dai 14 anni in su».