Sono sempre di più le aziende agricole che esercitano l’attività di vendita diretta in forma offrendo al pubblico la possibilità di consumare sul posto i prodotti ceduti, attraverso la somministrazione non assistita degli stessi.
La possibilità da parte dei produttori agricoli di vendere direttamente i propri prodotti ai consumatori era stata introdotta dal D.Lgs. 228/2001; è stata però la Legge di Bilancio 2018 ad estendere la portata ed il campo di applicazione della vendita diretta introducendo la possibilità di svolgere attività di somministrazione non assistita di prodotti agricoli anche mediante strutture mobili nella disponibilità dell’azienda agricola.
Proprio riguardo quest’ultima attività però, il cosiddetto “street food agricolo”, occorre essere consapevoli dei limiti entro i quali può essere esercitata, anche per determinare il corretto inquadramento fiscale ai fini IRPEF e lVA.
Sull’argomento il Ministero ha fornito alcune importanti precisazioni:
- lo street food può essere svolto su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’ubicazione dell’azienda;
- l’attività può essere svolta durante tutto l’anno;
- la somministrazione non può essere assistita, quindi, posate, bicchieri e tovaglioli devono essere posti a disposizione della clientela solo per un uso autonomo e diretto, cioè senza “apparecchiare” la tavola con le modalità proprie della ristorazione;
- l’imprenditore agricolo può utilizzare qualunque bene mobile, anche registrato, purché idoneo dal punto di vista igienico-sanitario alla vendita ed alla somministrazione non assistita di prodotti agricoli e agroalimentari. Tali beni mobili devono essere nella disponibilità dell’azienda agricola, ma non è necessario che siano di proprietà dell’imprenditore;
- lo street food può avere ad oggetto esclusivamente prodotti già pronti, escludendo, quindi, ogni forma di cottura nel luogo di vendita;
- lo street food agricolo può essere svolto congiuntamente alla somministrazione non assistita in azienda.
Per quanto riguarda le imposte dirette, l’attività si configura come una cessione di beni. Quindi, se i prodotti venduti e consumati rientrano nell’elenco del D.M. 13 febbraio 2015, le cessioni sono riconducibili al reddito agrario. Ai fini IVA, qualora i beni ceduti rientrino nella tabella A, parte prima del D.P.R. 633/1972, è possibile applicare il regime speciale IVA (ex art. 34) e l’esclusione dall’obbligo di certificazione dei corrispettivi tramite registratore telematico.
Se invece i prodotti non rientrano nell’elenco del D.M. 13 febbraio, sono assoggettati alla tassazione forfettaria di cui all’art. 56-bis del TUIR (15%) solo nel caso in cui si tratti di una prima trasformazione di prodotti agricoli non ricompresa nel Decreto e ottenuta prevalentemente da prodotti derivanti dalla diretta coltivazione del fondo o dall’allevamento degli animali.
Per il vino si seguono le medesime regole ma, qualora le degustazioni di vini venissero effettuate nell’ambito di attività di enoturismo (quindi nell’ambito di visite aziendali, attività didattiche, ecc.), le operazioni dovranno essere qualificate come prestazioni di servizi.
Occorre prestare particolare attenzione alla norma che esclude ogni forma di cottura sul posto, perché anche un prodotto inserito nell’elenco del D.M. 15 febbraio 2015, se cotto sul luogo di vendita, potrebbe non essere più considerato rientrante nel D.M. stesso. In caso di contestazione, insorgerebbero quindi pericoli di natura urbanistica, autorizzativo/commerciale, ma soprattutto legati alla perdita della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP).