L’Associazione per la tutela dei diritti del malato di Novara, fondata da Giancarlo Ceresa e oggi presieduta da Roberto Mari, ha festeggiato il suo quarantesimo anno di vita con un convegno nell’aula magna dell’ospedale Maggiore di Novara.
«Quando è nato il rapporto paziente/medici soprattutto in ambiente ospedaliero, questo era soprattutto di tipo gerarchico, paternalistico, squilibrato a favore del medico che spesso, anche se più giovane, dava del tu al paziente, come fosse uno scolaro» ha detto Ceresa.
Oggi si rischia l’opposto: come testimoniano le violenze contro i sanitari e soprattutto l’aumento del contenzioso fatto di cause e richieste di risarcimento.
«Da qui ne consegue una “medicina difensiva” fatta di un eccesso di esami, radiografie, tac spesso inutili per sgravarsi da responsabilità legali e di poche visite in cui il malato è ascoltato e preso in carico globalmente anche come persona e non solo come un pezzo da riparare» ha ricordato il rettore dell’Università del Piemonte Orientale e direttore del Dea, Gian Carlo Avanzi, alla vigilia del suo pensionamento,
Il consenso informato per le cure, per iniziarle e anche per continuarle o eventualmente interromperle, non può essere ridotto alla firma di una liberatoria, ma è un processo di comunicazione in cui viene rispettato il diritto del paziente a conoscere le proprie condizioni e le terapie.
Ha ricordato Luca Savarino, filosofo e docente di Etica medica alla Scuola di Medicina dell’Upo, che la comunicazione è ancora spesso la carenza principale nel rapporto medico/paziente e la causa principale anche, secondo l’avvocato Monica Mombelli con una lunga esperienza nel diritto sanitario, di molte cause che invece potrebbero essere evitate e prevenute.