Quello della Shoah non è sicuramente un tema facile da affrontare. Ancora di più il 27 gennaio, giorno dedicato appunto alla Memoria, al ricordo dello sterminio perpetrato nei lager nazisti. Eppure Alessandro Barbaglia, recente “Novarese dell’anno”, non ha smentito ancora una volta la sua particolare vena di intrattenitore, affrontando con particolare sensibilità e naturalezza un argomento decisamente delicato.
Invitato dal dirigente Francesco Ticozzi (anche lui insignito la scorsa settimana del prestigioso “sigillum”), Barbaglia ha intrattenuto per quasi un’ora e mezza gli studenti dell’Iti Omar con una conferenza storica sapientemente arricchita da qualche curiosità personale. Dalla signora Schmit, sopravvissuta a uno dei campi di sterminio, conosciuta da bambino in una località del Cusio e che attirava la sua attenzione per certi comportamenti un po’ stravaganti perché legati a tragici ricordi, sino alle discussioni dei due nonni, entrambi cresciuti sotto il regime, ma che come molti compiono la scelta di schierarsi dalla parte giusta.
Il racconto di Barbaglia ha avuto come spunto il colore blu. Una tonalità immaginata come “preferita” dal dittatore nazista Adolf Hitler nei suoi quadri di gioventù, quando giovanissimo si dilettava a dipingere paesaggi e nature morte sperando di essere ammesso (trovando anzi le porte sbarrate) all’Accademia di Belle arti dell’allora capitale asburgica. Un colore al quale ha voluto associare il tradizionale militarismo teutonico – chi non ha mai sentito parlare di “blu di Prussia”? – sino al colore del terrificante Zyklon B, un agente a base di acido cianidrico (conosciuto, guarda caso, anche come “acido prussico”) utilizzato nelle camere a gas dei campi di sterminio nazisti sotto forma di pasticche colorate appunto di un blu piuttosto intenso.
Altra curiosità: il prodotto, nato come insetticida, era stato sviluppato negli anni Venti del XX secolo da Fritz Haber, un ebreo tedesco vincitore nel 1918 del Nobel per la chimica, ma considerato purtroppo anche uno dei “padri” delle armi chimiche utilizzate dai tedeschi nel corso del primo conflitto mondiale, al quale aveva dato entusiasticamente il suo appoggio, ma che non gli consentì tuttavia di essere risparmiato negli anni successivi. Una volta andato al potere il regime hitleriano, Haber fu infatti costretto a lasciare l’impiego nella prestigiosa Bayer, scegliendo di emigrare in Palestina. Un desiderio rimasto incompiuto, visto che la morte lo colse improvvisamente mentre si trovava a Basilea.
Nel complesso un racconto che ha catturato l’attenzione, perché rivelatosi importante da narrare. Perché, come disse Primo Levi, “se comprendere è impossibile, raccontare è necessario”.