Sono le campane a festa delle chiese della città a richiamare i fedeli alla messa: oggi è la solennità dell’Ascensione ma, soprattutto, è la prima domenica dopo il lockdown che ha costretto a non poter celebrare l’Eucaristia per 75 giorni. E la risposta è stata positiva, con una partecipazione che ha riempito molte chiese (ovviamente con i nuovi numeri del distanziamento) e dove possibile, lo spazio sacro è stato ampliato anche all’aperto, sul sagrato, sempre rispettando la dovuta lontananza.
Inevitabilmente è un clima tutto particolare quello che si vive tra la gente che ha voluto riprendere ad andare a messa. Da un lato un po’ di sorpresa, di curiosità ed anche ancora un po’ di smarrimento per tutte le novità obbligate che fanno della chiesa un ambiente un po’ asettico, lontano dal familiare luogo di incontro comunitario, ma dall’altro c’è la gioia del ritrovarsi insieme – «Finalmente!» dicono molti fedeli – per vivere nuovamente, seppur tra i condizionamenti inevitabili, un momento di spiritualità e di preghiera che era mancato a tantissime persone.
«Per me è stata davvero una tristezza dell’anima, ora è finita!» confida una signora dopo aver fatto il segno di croce senza intingere la mano dell’acquasantiera – che è asciutta – ma avendole igienizzate con il gel disinfettante.
Tempi nuovi di coronavirus, ma fede immutata che ritrova una sua dimensione naturale. Pur restando sullo sfondo il dolore delle troppe morti di questi mesi.
Nella chiesa di Santa Rita celebra il parroco padre Marco Canali: ogni messa domenicale – avvisa – sarà anche di suffragio, una per ciascun defunto a cui non è stato possibile celebrare il funerale.
Dal punto di vista organizzativo è tutto impeccabile, come da norme dell’accordo Governo-Cei, per altro seguite sostanzialmente da tutti i parroci di Novara: all’ingresso cartelli che indicano le norme in vigore e la “capienza” della chiesa, porte aperte, ingresso e uscita separati, volontari che spiegano come comportarsi e indicano i posti a sedere distanziati, su banchi e sedie allontanati rispetto a prima. Tutti naturalmente con la mascherina, anche i bambini, sull’altare il celebrante ha lo schermo di plexiglas che lo divide dalle ostie da consacrare, l’ambiente è sanificato, c’è il divieto di toccare le statue e l’invito a non inginocchiarsi: il tutto per la massima igiene.
Tuttavia, piano piano, il clima della festa e della preghiera prevale. In tanti arrivano con largo anticipo sull’orario di inizio e disciplinatamente vanno ad occupare i primi banchi, rispettando in silenzio che la chiesa si vada riempiendo. Tra i volontari che accolgono i fedeli per un po’ c’è anche il parroco: «Che bello rivedersi qui dopo tanto tempo! La vostra mancanza si è fatta sentire molto». A inizio celebrazione padre Canali aggiunge: «Siamo chiamati a una rieducazione costante del nostro comportamento per essere responsabili verso noi stessi e verso gli altri. Per questo occorre rispettare le norme nuove».
Momenti particolari sono la distribuzione della Comunione e lo scambio della pace. Per il primo nessuno si muove dal proprio posto ed è il celebrante, con tanto di dispositivi di protezione, a passare tra le persone che rimangono in piedi e offrire l’ostia nelle mani congiunte del fedele, senza toccarla con le proprie. Il tempo necessario è prolungato ma diventa occasione di silenzio e di preghiera. Lo scambio della pace non è evitato, ma ovviamente non si fa dandosi la mano: si segue l’invito introdotto dal vescovo e ci si scambia un “sorriso di pace”, un gesto espresso soprattutto con gli occhi, ma che “trapassa” le mascherine.
La celebrazione volge al termine e quasi non ci si accorge più che è stata comunque una messa “diversa”. Singolare, ma pastoralmente molto efficace, la conclusione del celebrante: «Contagiate tutti con la forza del Vangelo!».
Appuntamento fra sette giorni, sarà la domenica di Pentecoste, ma anche a un impegno quotidiano di carità, perché il coronavirus ha aperto tante nuove voragini di povertà.