«Ho paura che in Italia possa succedere ciò che è successo negli Stati Uniti. Un situazione gravissima che deve essere un campanello d’allarme per farci tenere alta l’attenzione, in modo particolare in Piemonte dove la presenza delle associazioni pro vita nei consultori non è un segnale rassicurante». Tiziana Fioriani, presidente di Aied Novara – l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica che quest’anno compie 50 anni di attività – da tempo impegnata nelle battaglie per la libertà delle donne, esprime la sua preoccupazione dopo la sentenza della Corte Suprema americana che abolisce il diritto all’aborto.
«Non si tratta di essere favorevoli o contrari, ma di garantire la libertà di scelta rispettando la donna e la sua decisione – prosegue Fiorani -.Vietare questo diritto non significa diminuire i casi di interruzione di gravidanza, ma solo renderli meni sicuri. Bisogna, invece, lavorare dal punto di vista culturale, promuovendo la contraccezione e la pillola del giorno dopo. È la politica che deve continuare a garantire questo diritto e la società civile deve mobilitarsi perché i diritti acquisiti non sono poi così scontati».
«La parola d’ordine del consultorio è accoglienza, sia che si tratti di una interruzione di gravidanza che di una semplice visita continua la presidente -. Da noi è presente anche lo sportello per le donne vittime di violenza, per questo motivo chi si presenta qui riceve la massima disponibilità. Non bisogna dimenticare che una donna che decide di abortire si trova in una condizione di sofferenza, non importa quale sia il ceto sociale o il livello culturale ai quali appartiene. È una situazione che va gestita con umanità; se necessario, siamo in grado di fornire anche supporto psicologico».
L’indagine condotta dal vice presidente della commissione Sanità, Domenico Rossi, ha fatto emergere il problema dell’obiezione di coscienza tra ginecologi e ostetrici: una media piemontese che si attesta intorno al 50% con un picco nel novarese: il 90% all’ospedale Maggiore, l’80% a Borgomanero. (leggi qui l’articolo)
«Sono numeri altissimi e sono veri – aggiunge la presidente – noi stessi facciamo fatica a trovare ginecologi non obiettori che possano certificare la gravidanza e affidare le pazienti alle cure ospedaliere per l’interruzione di gravidanza, anche farmacologica. In questo momento all’ospedale Maggiore solo quattro medici su venti sono non obiettori e grazie a loro le interruzioni sono garantire. L’obiezione nasce da una motivazione ideologica? A volte sì, ma credo che in alcuni sia un modo per togliersi da ogni responsabilità».