E’ rientrata dagli Usa sbarcando all’aeroporto di Malpensa nel pomeriggio di ieri, martedì 8 novembre, ma in apparenza non ha quasi minimamente patito i sintomi del “jet lag”. Il tempo di disfare la valigia e concedersi qualche ora di riposo prima di tornare alle sue attività.
Elena Albieri, insegnante alla scuola media camerese, è una dei tanti che domenica scorsa si è cimentata nella “Maratona di New York”, la prestigiosa corsa annuale che “consuma” la celebre distanza di poco più di 42 chilometri attraverso i famosi cinque “boroughs” (in italiano potremmo definirle impropriamente circoscrizioni) che costituiscono la metropoli statunitense.
«Un’esperienza tutta da vivere – ci ha raccontato – Per una come me, che ha praticato la corsa da ragazza e che poi ha ripreso recentemente nonostante qualche acciacco, quella di New York è un’esperienza si è rivelata un’esperienza tutta da vivere, nonostante il fatto di essermi presentata con pochi allenamenti nelle gambe».
Dopo aver partecipato in precedenza a quattro analoghe corse (Valencia, Malaga, Firenze e in Costa Azzurra), quella di New York era una sfida che Elena Albieri aveva da tempo in mente: «Purtroppo negli ultimi anni la pandemia ha complicato non poco le cose, incluso il fatto che in un’occasione la partecipazione è stata preclusa per i non statunitensi. Però adesso che si era verificata questa opportunità l’ho colta al volo, anche se per partecipare occorre appoggiarsi a qualche società e i costi non sono proprio irrisori. Anzi, con diverse decine di migliaia di partecipanti ogni anno (e da questo punto di vista quella italiana è sempre la “delegazione” più numerosa fra gli stranieri, ndr), la corsa rappresenta in realtà un vero e proprio business».
Anche Elena ha confermato inoltre che una delle caratteristiche di questa corsa è la straordinaria partecipazione della folla ai due lati del percorso: «Al di là del fatto che occorre comunque presentarsi con un minimo di preparazione, io stessa non pensavo di completare la corsa. Me me in tanti pensano di percorrere qualche chilometro, per poi dedicarsi a una vera e propria forma di turismo alternativo. Però quando inizi, anche se la fatica sembra avere la meglio, è la gente a spronarti. In tutti i quartieri attraversati, dal Bronx a Manhattan sino al Queens, o quando si attraversa il Ponte di Verrazzano, sono gli stessi abitanti, con la voce, alcuni strumenti improvvisati e altro ancora a dirti di non mollare, andare avanti… E allora continui, anche perché i tempi per giungere al traguardo sono molto ampi. Personalmente sono soddisfatta di essere riuscita a chiudere sotto il muro delle 4 ore, ma al di là di questo contenta di esserci stata».