Noi, catapultati con il computer sul divano di casa

Articolo di Elena Ferrara e Cecilia Colli

Lavorano da casa, ma la vita dei pendolari era già cambiata nelle scorse settimane, con le prime restrizioni “soft” legate al coronavirus. Sono le storie dei novaresi, quelli che ogni giorno “litigano” con treni in ritardo, che tutte le mattine vanno a Milano per lavoro e che nel giro di tre settimane si sono ritrovati catapultati con il pc sul divano di casa. «Io lavoro in una multinazionale farmaceutica a Basiglio, in provincia di Milano, per conto di una azienda informatica di Novara – spiega Fulvio – stiamo lavorando qui nella sede di Novara da 2 settimane, questa è la terza, in smart working su consiglio dell’azienda. Di fatto al momento a Milano la sede, che normalmente accoglie circa 200 persone, è totalmente vuota anche se accessibile. Prima di queste 2 settimane non c’è mai stato bisogno di lavorare da remoto, anche se stiamo lavorando bene anche così. Per alcune cose sarebbe necessaria la presenza, ma al momento stiamo dando tutti i servizi che necessitano».

 

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Altri avevano già iniziato a sperimentare lo smart working ben prima dell’emergenza, come Marco, di Cameri, addetto alla farmaco vigilanza per una multinazionale farmaceutica americana con diverse sedi in tutta Europa: «La mia azienda ha avviato un periodo sperimentale due anni fa, partendo con un giorno a settimana di smart working a nostra scelta. Da un anno a questa parte i giorni sono diventati due – spiega – e questo vale per tutti: dipendenti full time, part time e persino per gli stagisti. Se mentre lavoriamo da casa è prevista una riunione possiamo tranquillamente collegarci via tele conferenza. Per chi è un pendolare, come me, è un gran vantaggio: ogni giorno salvi 2 ore del tuo tempo, semplicemente grazie a un pc e a un telefono aziendale, che ci permette di essere sempre reperibili in orario di lavoro. Orario che, comunque, è sempre flessibile (ad esempio puoi uscire a fare una commissione o per andare a prendere i figli), perché lavoriamo per obiettivi. Tutto il settore farmaceutico ormai funziona così».

E’ cambiato qualcosa da lunedì? «Ci è stato comunicato che gli uffici sono chiusi, ma già dalle 2 settimane precedenti potevamo scegliere se lavorare da casa o andare fisicamente in sede» conclude Marco.

Anche Federico, di Novara, dipendente di una società di consulenza, racconta come «lo smart working ci viene imposto già dalla seconda metà di febbraio: abbiamo iniziato noi che veniamo da fuori, poi man mano è stato esteso anche a quelli di Milano. Per me è la prima esperienza, ma devo dire che è tutto molto agevole perchè, nel mio lavoro, è necessario solo un pc e un telefono. Il vantaggio è quello di avere l’ufficio in casa, ma sento la mancanza del rapporto umano con i colleghi con i quali sono però in contatto ogni giorno via skype o social: anche se non siamo insieme fisicamente, possiamo comunque parlare di juve inter…»

Paola, anche lei di Novara città, coglie il lato positivo del lavoro a distanza: «Mi godo la casa, posso aprire la finestra come voglio, cosa che in ufficio non posso mai fare, ma soprattutto mi godo la famiglia. Per me, che esco tutte le mattine alle 7 torno alla sera alle 20, questa situazione è fantascienza. Invece che due ore di fretta, riesco a vedere mio figlio tutto il giorno: lui frequenta il Fauser ed è in una stanza a seguire le lezioni, io in un’altra a lavorare. Devo ammettere che da questo punto di vista non sono per niente triste».

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Noi, catapultati con il computer sul divano di casa

Articolo di Elena Ferrara e Cecilia Colli

Lavorano da casa, ma la vita dei pendolari era già cambiata nelle scorse settimane, con le prime restrizioni “soft” legate al coronavirus. Sono le storie dei novaresi, quelli che ogni giorno “litigano” con treni in ritardo, che tutte le mattine vanno a Milano per lavoro e che nel giro di tre settimane si sono ritrovati catapultati con il pc sul divano di casa. «Io lavoro in una multinazionale farmaceutica a Basiglio, in provincia di Milano, per conto di una azienda informatica di Novara – spiega Fulvio – stiamo lavorando qui nella sede di Novara da 2 settimane, questa è la terza, in smart working su consiglio dell’azienda. Di fatto al momento a Milano la sede, che normalmente accoglie circa 200 persone, è totalmente vuota anche se accessibile. Prima di queste 2 settimane non c’è mai stato bisogno di lavorare da remoto, anche se stiamo lavorando bene anche così. Per alcune cose sarebbe necessaria la presenza, ma al momento stiamo dando tutti i servizi che necessitano».

 

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Altri avevano già iniziato a sperimentare lo smart working ben prima dell’emergenza, come Marco, di Cameri, addetto alla farmaco vigilanza per una multinazionale farmaceutica americana con diverse sedi in tutta Europa: «La mia azienda ha avviato un periodo sperimentale due anni fa, partendo con un giorno a settimana di smart working a nostra scelta. Da un anno a questa parte i giorni sono diventati due – spiega – e questo vale per tutti: dipendenti full time, part time e persino per gli stagisti. Se mentre lavoriamo da casa è prevista una riunione possiamo tranquillamente collegarci via tele conferenza. Per chi è un pendolare, come me, è un gran vantaggio: ogni giorno salvi 2 ore del tuo tempo, semplicemente grazie a un pc e a un telefono aziendale, che ci permette di essere sempre reperibili in orario di lavoro. Orario che, comunque, è sempre flessibile (ad esempio puoi uscire a fare una commissione o per andare a prendere i figli), perché lavoriamo per obiettivi. Tutto il settore farmaceutico ormai funziona così».

E’ cambiato qualcosa da lunedì? «Ci è stato comunicato che gli uffici sono chiusi, ma già dalle 2 settimane precedenti potevamo scegliere se lavorare da casa o andare fisicamente in sede» conclude Marco.

Anche Federico, di Novara, dipendente di una società di consulenza, racconta come «lo smart working ci viene imposto già dalla seconda metà di febbraio: abbiamo iniziato noi che veniamo da fuori, poi man mano è stato esteso anche a quelli di Milano. Per me è la prima esperienza, ma devo dire che è tutto molto agevole perchè, nel mio lavoro, è necessario solo un pc e un telefono. Il vantaggio è quello di avere l’ufficio in casa, ma sento la mancanza del rapporto umano con i colleghi con i quali sono però in contatto ogni giorno via skype o social: anche se non siamo insieme fisicamente, possiamo comunque parlare di juve inter…»

Paola, anche lei di Novara città, coglie il lato positivo del lavoro a distanza: «Mi godo la casa, posso aprire la finestra come voglio, cosa che in ufficio non posso mai fare, ma soprattutto mi godo la famiglia. Per me, che esco tutte le mattine alle 7 torno alla sera alle 20, questa situazione è fantascienza. Invece che due ore di fretta, riesco a vedere mio figlio tutto il giorno: lui frequenta il Fauser ed è in una stanza a seguire le lezioni, io in un’altra a lavorare. Devo ammettere che da questo punto di vista non sono per niente triste».

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