Nuove terapie del melanoma metastico. Uno studio dell’Università del Piemonte Orientale

L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Istituto Clinico Humanitas e l’Università degli Studi del Piemonte Orientale con il sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, hanno unito le proprie competenze, dimostrando per la prima volta il ruolo cruciale dell’enzima eme-ossigenasi nel promuovere la formazione di metastasi. I risultati dello studio, appena pubblicati sulla rivista scientifica Nature Immunology, mostrano un nuovo biomarcatore per la prognosi del melanoma metastatico, aprendo la strada allo sviluppo di innovative strategie terapeutiche.

“È stato sviluppato un lavoro in sinergia tra tre realtà con un ruolo importante nell’ambito della ricerca” – sottolinea Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Grazie al gruppo del professor Sica, di Humanitas e Università del Piemonte Orientale, è stato possibile ottenere dati preclinici, con evidenze successivamente valutate in casistiche cliniche dal team del dottor Anichini presso il nostro Istituto”.

«Abbiamo notato che la crescita di un tumore induce alterazioni della nostra ematopoiesi, il processo alla base della produzione delle nostre cellule immunitarie. In particolare il tumore induce l’espansione di un gruppo di cellule immunitarie (monociti, macrofagi) che esprimono alti livelli dell’enzima eme-ossigenasi e capaci di raggiungere il tessuto tumorale. Come conseguenza, all’interno del tumore si verifica una produzione elevata di ferro e di monossido di carbonio – spiega Antonio Sica, professore ordinario di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco (DsF) dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale e Direttore del Laboratorio di Immunologia Molecolare dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, Milano -. Le conseguenze sono duplici: da una parte, la produzione di nuovi vasi sanguigni che alimentano la proliferazione delle cellule tumorali; dall’altra, il gas prodotto agisce da immunosoppressore spegnendo l’attività dei linfociti T, cioè delle cellule del sistema immunitario in grado di riconoscere e uccidere le cellule tumorali».

Il melanoma cutaneo è oggi in Italia il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 50 anni. Grazie all’immunoterapia e alle terapie a bersaglio molecolare, circa il 50% dei pazienti con malattia metastatica può ottenere un beneficio a lungo termine.

Si aprono quindi nuove prospettive nella terapia del melanoma metastatico. «I nostri studi stanno proseguendo” – sottolineano Sica e Andrea Anichini, responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale Immunobiologia dei Tumori Umani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Abbiamo già visto che è possibile riaccendere la risposta antitumorale associando a farmaci già utilizzati in clinica, innovativi approcci genetici e farmacologici che inibiscono l’attività dei macrofagi in caso di iperespressione di HMOX1. In parallelo stiamo indagando la validità del biomarcatore anche in altre forme tumorali, come quelle della mammella e del polmone».

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Nuove terapie del melanoma metastico. Uno studio dell’Università del Piemonte Orientale

L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Istituto Clinico Humanitas e l’Università degli Studi del Piemonte Orientale con il sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, hanno unito le proprie competenze, dimostrando per la prima volta il ruolo cruciale dell’enzima eme-ossigenasi nel promuovere la formazione di metastasi. I risultati dello studio, appena pubblicati sulla rivista scientifica Nature Immunology, mostrano un nuovo biomarcatore per la prognosi del melanoma metastatico, aprendo la strada allo sviluppo di innovative strategie terapeutiche.

“È stato sviluppato un lavoro in sinergia tra tre realtà con un ruolo importante nell’ambito della ricerca” – sottolinea Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Grazie al gruppo del professor Sica, di Humanitas e Università del Piemonte Orientale, è stato possibile ottenere dati preclinici, con evidenze successivamente valutate in casistiche cliniche dal team del dottor Anichini presso il nostro Istituto”.

«Abbiamo notato che la crescita di un tumore induce alterazioni della nostra ematopoiesi, il processo alla base della produzione delle nostre cellule immunitarie. In particolare il tumore induce l’espansione di un gruppo di cellule immunitarie (monociti, macrofagi) che esprimono alti livelli dell’enzima eme-ossigenasi e capaci di raggiungere il tessuto tumorale. Come conseguenza, all’interno del tumore si verifica una produzione elevata di ferro e di monossido di carbonio – spiega Antonio Sica, professore ordinario di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco (DsF) dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale e Direttore del Laboratorio di Immunologia Molecolare dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, Milano -. Le conseguenze sono duplici: da una parte, la produzione di nuovi vasi sanguigni che alimentano la proliferazione delle cellule tumorali; dall’altra, il gas prodotto agisce da immunosoppressore spegnendo l’attività dei linfociti T, cioè delle cellule del sistema immunitario in grado di riconoscere e uccidere le cellule tumorali».

Il melanoma cutaneo è oggi in Italia il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 50 anni. Grazie all’immunoterapia e alle terapie a bersaglio molecolare, circa il 50% dei pazienti con malattia metastatica può ottenere un beneficio a lungo termine.

Si aprono quindi nuove prospettive nella terapia del melanoma metastatico. «I nostri studi stanno proseguendo” – sottolineano Sica e Andrea Anichini, responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale Immunobiologia dei Tumori Umani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Abbiamo già visto che è possibile riaccendere la risposta antitumorale associando a farmaci già utilizzati in clinica, innovativi approcci genetici e farmacologici che inibiscono l’attività dei macrofagi in caso di iperespressione di HMOX1. In parallelo stiamo indagando la validità del biomarcatore anche in altre forme tumorali, come quelle della mammella e del polmone».

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