Ci si avvicina velocemente all’appuntamento elettorale del 12 giugno, data in cui, oltre al rinnovo delle amministrazioni locali (nel Novarese, lo ricordiamo, si voterà a Borgomanero e in altri quattro piccoli centri) tutti i cittadini saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum forse un po’ troppo semplicisticamente definiti “sulla giustizia”. I temi in discussione, del resto, appaiono decisamente tecnici e non stanno suscitando particolare interesse, se non fra gli addetti ai lavori. I quesiti che gli elettori troveranno sulle schede riguardano infatti la riforma del Consiglio superiore della Magistratura, l’equa valutazione sui magistrati, la cosiddetta separazione delle carriere tra le funzioni giudicanti e requirenti, i limiti agli abusi della custodia cautelare l’abolizione della legge Severino.
Il rischio concreto, visti i numerosi precedenti, è quello che l’appuntamento si trasformi in un “flop” a causa del mancato raggiungimento del quorum (la partecipazione della metà più uno degli avanti diritto al voto), trattandosi infatti di un referendum abrogativo, così come è importante rimarcare che chi è favorevole alle proposte contenute nei quesiti dovrà votare “sì”; chi vorrà lasciare le cose come stanno dovrà invece votare “no”. All’interno di due schieramenti assolutamente trasversali che stanno di fatto dividendo gli stessi partiti che sostengono il Governo chi ha iniziato a muoversi sono i sostenitori dell’approvazione dei referendum.
Vediamo di capirci meglio. Per il “sì” si sono espressi i Radicali e la Lega (che hanno materialmente raccolto le firme per giungere a questo appuntamento), oltre a Forza Italia, essendo alcuni temi da tempo uno dei cavalli di battaglia dello stesso Silvio Berlusconi: «La nostra posizione è per il “sì” – ha spiegato Roberto Cota, responsabile Giustizia degli “azzurri” – Questo voto ha una motivazione di carattere politico. Votando per il “sì” il cittadino esprime il desiderio nei confronti di una riforma della giustizia che è assolutamente necessaria in senso garantista. Va anche detto che il raggiungimento del quorum è in questo momento molto difficile, in un contesto dove i temi di attualità sono decisamente altri, a cominciare dalla guerra, e non c’é stata un’adeguata informazione».
Dal punto di vista più tecnico questi referendum «prevedono l’abolizione delle norme contenute nella legge Severino, cioè l’incandidabilità per i politici che sono sottoposti a un procedimento penale, una “presunzione di colpevolezza” che di fatto blocca le pubbliche amministrazioni locali. Il secondo riguarda la custodia cautelare: si propone di abrogare una parte dell’articolo 274 del Codice penale che consente l’applicazione della misura restrittiva anche di fronte a reati non particolarmente gravi. Un ulteriore quesito riguarda la candidatura al Consiglio superiore della Magistratura, in modo da contrastare quella che è la “politicizzazione” del Csm e del meccanismo della sua elezione. Il quarto quesito riguarda la valutazione dei magistrati, oggi fatta dallo stesso Csm senza il voto dei componenti dell’avvocatura. L’ultimo referendum interessa la separazione delle carriere, ma sarebbe più giusto definirle “funzioni”, tra giudice e pubblico ministero. Oggi chi svolge l’incarico di Pm domani potrebbe ritrovarsi dall’altra parte della barricata. In caso di affermazione del “sì” il candidato, dopo il concorso, dovrebbe scegliere se intraprendere la carriera di giudice oppure di pubblico ministero». Fra le forze moderate che sostengono l’esecutivo guidato da Mario Draghi occorre dire che per il “sì” si sono schierati tanto Italia Viva di Matteo Renzi quanto Azione di Carlo Calenda, quest’ultimo soprattutto sul quesito riguardante la custodia cautelare.
Decisamente contrario il Movimento 5 Stelle: «I quesiti, così come formulati,
rischiano di essere pericolosi per tutto il sistema giustizia – ha detto il capogruppo a Montecitorio dei “grillini”, l’oleggese Davide Crippa – Basti pensare al quesito sulla limitazione delle misure cautelari: di fatto si rischierebbe di indebolirebbe uno dei principali strumenti nelle mani della magistratura per il contrasto a reati come stupro, aggressione o omicidio. Depotenziando questa misura si minerebbe la sicurezza di tutti perché persone accusate di questi reati, fra gli altri, potrebbero rimanere in libertà. Non possiamo coscientemente mettere a repentaglio – ha aggiunto – la sicurezza dei nostri cittadini, né andare a modificare parzialmente il sistema giustizia con quesiti a volte solo strumentali che rischiano di creare più problemi che soluzioni».
Sempre in maggioranza il segretario del Pd Enrico Letta si è personalmente espresso per il “no”, ma visto che una parte del partito ha manifestato una posizione diversa è stata data libertà di voto. A livello locale il segretario provinciale Rossano Pirovano ha detto: «Bene ha fatto Letta a dire che il nostro partito non è una caserma. Da parte mia non ho ancora deciso come voterò, di sicuro non sarà una scelta omogenea. Resto convinto che la soluzione dei temi riguardanti la giustizia debbano essere risolti con un passaggio parlamentare».