Salvare il “mare a quadretti”, auspicando un ritorno al passato

La proposta emersa ieri mattina nel corso della tavola rotonda al Castello dedicata alla situazione del comparto risicolo in conseguenza della siccità. Tornare alla semina in sommersione e aumentare la raccolta dell'acqua piovana. Nel prossimo novembre a Torino previsti gli Stati generali dell'acqua

I recentissimi risultati di un monitoraggio effettuato – anche con l’ausilio di immagini satellitari – hanno rilevato che nella zona della Lombardia si registrerà un “taglio” di circa 23 mila ettari di coltivazioni a riso. E’ questo il dato maggiormente inquietante, conseguenza di una delle estati più difficili affrontate dal settore per la mancanza di acqua, che potrebbe in futuro mettere letteralmente a rischio la sopravvivenza del settore, portando a un vero e proprio stravolgimento del nostro scenario paesaggistico legato alla produzione di questo alimento che ancora oggi riesce a sfamare oltre metà della popolazione del pianeta. Insomma, il “mare a quadretti” descritto da Sebastiano Vassalli nelle sue opere letterarie è in pericolo; e occorre muoversi subito, perché la siccità di quest’anno non è purtroppo destinata a rimanere un episodio isolato. Lo scenario configurato nel corso della tavola rotonda, tenutasi ieri, sabato 10 settembre, al Castello di Novara nell’ambito della manifestazione Exporice, è questo. E prendendo a prestito il titolo dell’incontro – “Il futuro del territorio? Senza riso cambia la storia” – occorre davvero lavorare per scongiurare questa eventualità.


Moderati dal giornalista Gianfranco Quaglia hanno preso la parola il presidente dell’Ente nazionale risi Paolo Carrà, quello del Consorzio Est Sesia Camillo Colli e i rappresentati delle organizzazioni del settore. Proprio Colli ha ricordato come nei due mesi precedenti si sia registrata una portata delle acque in certi giorni di 50 metro cubi al secondo (meno di un terzo rispetto a quella abituale), ipotizzando, se non si dovesse registrare un’inversione di tendenza un regime «di turnazione rispetto a quella continua», mentre Carrà ha evidenziato come «la semina in asciutta abbia creato problemi».


Sul fronte dei coltivatori – Giovanni Chiò, di Confagricoltura Novara-Vco; Fabrizio Rizzotti di Coldiretti; Manrico Brustia, responsabile settore riso di Cia – è stata avanzata la proposta di un vero e proprio ritorno al passato, attraverso le «semine in sommersione rispetto a quelle certamente meno costose in asciutta». E se Giuseppe Ferraris, referente riso di Copa Cogeca, ha ricordato come in Sardegna il problema della siccità nella zona di Oristano sia stato in parte risolto attraverso la realizzazione diversi bacini per il trattenimento dell’acaqua piovana, l’assessore regionale all’Ambiente Matteo Marnati ha anticipato la notizia della convocazione a Torino «degli Stati generali dell’acqua con la partecipazione di tutti i soggetti interessati». Quello dei siti di raccolta potrebbe essere una delle soluzioni, ma, come ha rilevato Marnati, «in Piemonte ci sono trecento invasi non utilizzati e dobbiamo capire il perché».

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Salvare il “mare a quadretti”, auspicando un ritorno al passato

La proposta emersa ieri mattina nel corso della tavola rotonda al Castello dedicata alla situazione del comparto risicolo in conseguenza della siccità. Tornare alla semina in sommersione e aumentare la raccolta dell’acqua piovana. Nel prossimo novembre a Torino previsti gli Stati generali dell’acqua

I recentissimi risultati di un monitoraggio effettuato – anche con l’ausilio di immagini satellitari – hanno rilevato che nella zona della Lombardia si registrerà un “taglio” di circa 23 mila ettari di coltivazioni a riso. E’ questo il dato maggiormente inquietante, conseguenza di una delle estati più difficili affrontate dal settore per la mancanza di acqua, che potrebbe in futuro mettere letteralmente a rischio la sopravvivenza del settore, portando a un vero e proprio stravolgimento del nostro scenario paesaggistico legato alla produzione di questo alimento che ancora oggi riesce a sfamare oltre metà della popolazione del pianeta. Insomma, il “mare a quadretti” descritto da Sebastiano Vassalli nelle sue opere letterarie è in pericolo; e occorre muoversi subito, perché la siccità di quest’anno non è purtroppo destinata a rimanere un episodio isolato. Lo scenario configurato nel corso della tavola rotonda, tenutasi ieri, sabato 10 settembre, al Castello di Novara nell’ambito della manifestazione Exporice, è questo. E prendendo a prestito il titolo dell’incontro – “Il futuro del territorio? Senza riso cambia la storia” – occorre davvero lavorare per scongiurare questa eventualità.


Moderati dal giornalista Gianfranco Quaglia hanno preso la parola il presidente dell’Ente nazionale risi Paolo Carrà, quello del Consorzio Est Sesia Camillo Colli e i rappresentati delle organizzazioni del settore. Proprio Colli ha ricordato come nei due mesi precedenti si sia registrata una portata delle acque in certi giorni di 50 metro cubi al secondo (meno di un terzo rispetto a quella abituale), ipotizzando, se non si dovesse registrare un’inversione di tendenza un regime «di turnazione rispetto a quella continua», mentre Carrà ha evidenziato come «la semina in asciutta abbia creato problemi».


Sul fronte dei coltivatori – Giovanni Chiò, di Confagricoltura Novara-Vco; Fabrizio Rizzotti di Coldiretti; Manrico Brustia, responsabile settore riso di Cia – è stata avanzata la proposta di un vero e proprio ritorno al passato, attraverso le «semine in sommersione rispetto a quelle certamente meno costose in asciutta». E se Giuseppe Ferraris, referente riso di Copa Cogeca, ha ricordato come in Sardegna il problema della siccità nella zona di Oristano sia stato in parte risolto attraverso la realizzazione diversi bacini per il trattenimento dell’acaqua piovana, l’assessore regionale all’Ambiente Matteo Marnati ha anticipato la notizia della convocazione a Torino «degli Stati generali dell’acqua con la partecipazione di tutti i soggetti interessati». Quello dei siti di raccolta potrebbe essere una delle soluzioni, ma, come ha rilevato Marnati, «in Piemonte ci sono trecento invasi non utilizzati e dobbiamo capire il perché».

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