Stabat Mater struggente e appassionato. Una riflessione umana per credenti e non

Scrivere la recensione di uno spettacolo il giorno in cui il Governo emana un Dpcm in cui chiude cinema e teatri è un po’ come andare coraggiosi sul campo di battaglia sapendo di aver già perso la guerra. Soprattutto se lo spettacolo in questione è lo Stabat Mater di Pergolesi, prodotto dal Teatro Coccia e messo in scena con il geniale intuito registico di Renato Bonajuto. Perchè all’essenziale orchestra d’archi, un organo e due voci femminili previsti dall’autore, Bonajuto ha messo in scena danzatori che, attraverso tableau vivant, fanno rivivere, anche dal punto di vista filologico, la poetica della musica pergolesiana.

Fin dall’introduzione realizzata con le Antiche arie e danze di Respighi, il pubblico è condotto all’interno delle botteghe barocche: un modo per traghettare verso il cuore dello Stabat quando i danzatori si spogliano, nel vero senso della parola, della loro condizione di popolani per vestire i panni dell’artista e dei personaggi che realizzano le opere. Quelle scelte sono patrimonio del territorio, di proprietà del Comune e della Diocesi, molte nemmeno esposte o dimenticate nei magazzini.

Il gioco di luci e ombre, semplice ma efficacissimo (di Ivan Pastrovicchio) contribuisce a rendere la scena vera e umana: la composizione e la scomposizione dei quadri e gruppi scultorei sono il simbolo di ciò che inizia e ciò che finisce in un continuo divenire.

Puliti e lineari, i costumi di Danilo Coppola diventano protagonisti proprio per mano dei ballerini (e delle cantanti) i quali indossano e ripiegano i panni dell’esistenza come una seconda pelle del naturale destino.

Ne esce un unico quadro struggente e appassionato (complice anche la cornice naturale dell’Arengo del Broletto) dove tutti, credenti e non, si trovano a fare i conti con il dolore che incombe nelle nostre vite attraverso una croce, un figlio morto e una madre disperata.

Le voci di Mariam Battistelli e Aurora Faggioli sono tanto giovani quanto sublimi. L’orchestra dei Virtuosi italiani è stata diretta dalla bacchetta saggia e sempre appassionata del Maestro Matteo Beltrami il quale ha ceduto il posto al talentuoso allievo Tommaso Perissinotto per le arie di Respighi.

Insomma, in primavera abbiamo consumato quintali di colori per disegnare arcobaleni nella convinzione che sarebbe andato tutto bene. Ora sappiamo che non è così e continuerà a essere sempre peggio se chi, invece di rafforzare la filiera sanitaria, ha pensato che sbarrare cinema e teatri fosse la soluzione più facile, additandoli implicitamente come untori. Di sicuro non sarà la cultura che smantellerà il virus, ma privarci di praticarla è il naufragio di un Paese che si definisce civile.

 

[ph Mario Finotti]

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Stabat Mater struggente e appassionato. Una riflessione umana per credenti e non

Scrivere la recensione di uno spettacolo il giorno in cui il Governo emana un Dpcm in cui chiude cinema e teatri è un po’ come andare coraggiosi sul campo di battaglia sapendo di aver già perso la guerra. Soprattutto se lo spettacolo in questione è lo Stabat Mater di Pergolesi, prodotto dal Teatro Coccia e messo in scena con il geniale intuito registico di Renato Bonajuto. Perchè all’essenziale orchestra d’archi, un organo e due voci femminili previsti dall’autore, Bonajuto ha messo in scena danzatori che, attraverso tableau vivant, fanno rivivere, anche dal punto di vista filologico, la poetica della musica pergolesiana.

Fin dall’introduzione realizzata con le Antiche arie e danze di Respighi, il pubblico è condotto all’interno delle botteghe barocche: un modo per traghettare verso il cuore dello Stabat quando i danzatori si spogliano, nel vero senso della parola, della loro condizione di popolani per vestire i panni dell’artista e dei personaggi che realizzano le opere. Quelle scelte sono patrimonio del territorio, di proprietà del Comune e della Diocesi, molte nemmeno esposte o dimenticate nei magazzini.

Il gioco di luci e ombre, semplice ma efficacissimo (di Ivan Pastrovicchio) contribuisce a rendere la scena vera e umana: la composizione e la scomposizione dei quadri e gruppi scultorei sono il simbolo di ciò che inizia e ciò che finisce in un continuo divenire.

Puliti e lineari, i costumi di Danilo Coppola diventano protagonisti proprio per mano dei ballerini (e delle cantanti) i quali indossano e ripiegano i panni dell’esistenza come una seconda pelle del naturale destino.

Ne esce un unico quadro struggente e appassionato (complice anche la cornice naturale dell’Arengo del Broletto) dove tutti, credenti e non, si trovano a fare i conti con il dolore che incombe nelle nostre vite attraverso una croce, un figlio morto e una madre disperata.

Le voci di Mariam Battistelli e Aurora Faggioli sono tanto giovani quanto sublimi. L’orchestra dei Virtuosi italiani è stata diretta dalla bacchetta saggia e sempre appassionata del Maestro Matteo Beltrami il quale ha ceduto il posto al talentuoso allievo Tommaso Perissinotto per le arie di Respighi.

Insomma, in primavera abbiamo consumato quintali di colori per disegnare arcobaleni nella convinzione che sarebbe andato tutto bene. Ora sappiamo che non è così e continuerà a essere sempre peggio se chi, invece di rafforzare la filiera sanitaria, ha pensato che sbarrare cinema e teatri fosse la soluzione più facile, additandoli implicitamente come untori. Di sicuro non sarà la cultura che smantellerà il virus, ma privarci di praticarla è il naufragio di un Paese che si definisce civile.

 

[ph Mario Finotti]

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore