Un San Gaudenzio in tempo di Covid dedicato alla “rinascita”

San Gaudenzio in tempo di Covid. Ma nonostante tutto Novara, seppure con le limitazioni dell’attuale situazione, non ha voluto dimenticare l’appuntamento con il suo Patrono. Così, fra tradizione ed emergenza, la città, per quei pochi che hanno potuto accedere stamattina in Basilica, ha voluto ugualmente stringersi, fare “comunità” attorno al suo vescovo, guardando con speranza al futuro. Ed è proprio al futuro che monsignor Franco Giulio Brambilla ha incentrato la sua omelia, il “discorso alla città”, fulcro della solenne funzione eucaristica culminata con una “offerta del fiore” quest’anno forzatamente limitata ma non per questo come sempre suggestiva. Un futuro rappresentato da un tempo di “rinascita”.

«Il breve vangelo del battesimo di Gesù – ha detto il vescovo – e gli elementi essenziali che ci aiutano a pensare all’anno appena iniziato come un tempo di rinascita». Un tema del resto già tratteggiato nel messaggio natalizio: «Se l’anno scorso abbiamo drammaticamente scoperto di di essere mortali, fragili e vulnerabili, quest’anno dobbiamo accogliere il dono di essere natali, generativi e solidali».

Una riflessione profonda che monsignor Brambilla ha poi voluto attualizzare esortando un sempre maggiore amore per il prossimo, nelle difficoltà del vivere quotidiano: «La conclusione del nostro cammino di rinascita domanda urgentemente che mettiamo il “noi” prima del nostro “io”. Avremo imparato dal dramma e dalla solitudine dei molti che ci hanno lasciato se diventeremo capaci di un personalismo comunitario». Perché la persona e la società «crescono insieme o muoiono insieme. Saremo uomini e donne capaci di rinascita solo se rimetteremo al centro la vita della città, il “noi” al posto dell’“io”, la prossimità invece della competizione, la fiducia invece del sospetto, la parola edificante invece della maldicenza, i beni comuni invece dell’accaparramento, la forza della speranza invece che il contagio della depressione».

Fondamentale sarà riuscire a custodire quello che ha voluto definire come “essere natali”, dopo le difficoltà di questo periodo. La volontà di rinascita è la parola «che tutti attendono con ansia nel momento presente». Parola che non può essere «taciuta, perché racconta quella speranza che non delude».

Parole riaffermate dal vescovo nel consueto incontro con i giornalisti al termine della messa: «Credo che si possa davvero, una volta che ci avranno detto che saremo relativamente in sicurezza, immaginare proprio che tutte le forze vive della città, dal mondo della politica a quello del volontariato sino alla cultura, possano per qualche giorno compiere delle riflessioni comuni sulla base di alcuni già effettuati dall’Università e che indicano le scelte del prossimo decennio. Quello che dobbiamo imparare è che se c’é stato un anno per fermarsi e ripartire sia stato proprio questo».

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Un San Gaudenzio in tempo di Covid dedicato alla “rinascita”

San Gaudenzio in tempo di Covid. Ma nonostante tutto Novara, seppure con le limitazioni dell’attuale situazione, non ha voluto dimenticare l’appuntamento con il suo Patrono. Così, fra tradizione ed emergenza, la città, per quei pochi che hanno potuto accedere stamattina in Basilica, ha voluto ugualmente stringersi, fare “comunità” attorno al suo vescovo, guardando con speranza al futuro. Ed è proprio al futuro che monsignor Franco Giulio Brambilla ha incentrato la sua omelia, il “discorso alla città”, fulcro della solenne funzione eucaristica culminata con una “offerta del fiore” quest’anno forzatamente limitata ma non per questo come sempre suggestiva. Un futuro rappresentato da un tempo di “rinascita”.

«Il breve vangelo del battesimo di Gesù – ha detto il vescovo – e gli elementi essenziali che ci aiutano a pensare all’anno appena iniziato come un tempo di rinascita». Un tema del resto già tratteggiato nel messaggio natalizio: «Se l’anno scorso abbiamo drammaticamente scoperto di di essere mortali, fragili e vulnerabili, quest’anno dobbiamo accogliere il dono di essere natali, generativi e solidali».

Una riflessione profonda che monsignor Brambilla ha poi voluto attualizzare esortando un sempre maggiore amore per il prossimo, nelle difficoltà del vivere quotidiano: «La conclusione del nostro cammino di rinascita domanda urgentemente che mettiamo il “noi” prima del nostro “io”. Avremo imparato dal dramma e dalla solitudine dei molti che ci hanno lasciato se diventeremo capaci di un personalismo comunitario». Perché la persona e la società «crescono insieme o muoiono insieme. Saremo uomini e donne capaci di rinascita solo se rimetteremo al centro la vita della città, il “noi” al posto dell’“io”, la prossimità invece della competizione, la fiducia invece del sospetto, la parola edificante invece della maldicenza, i beni comuni invece dell’accaparramento, la forza della speranza invece che il contagio della depressione».

Fondamentale sarà riuscire a custodire quello che ha voluto definire come “essere natali”, dopo le difficoltà di questo periodo. La volontà di rinascita è la parola «che tutti attendono con ansia nel momento presente». Parola che non può essere «taciuta, perché racconta quella speranza che non delude».

Parole riaffermate dal vescovo nel consueto incontro con i giornalisti al termine della messa: «Credo che si possa davvero, una volta che ci avranno detto che saremo relativamente in sicurezza, immaginare proprio che tutte le forze vive della città, dal mondo della politica a quello del volontariato sino alla cultura, possano per qualche giorno compiere delle riflessioni comuni sulla base di alcuni già effettuati dall’Università e che indicano le scelte del prossimo decennio. Quello che dobbiamo imparare è che se c’é stato un anno per fermarsi e ripartire sia stato proprio questo».

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