«Una famiglia “malata” di eccessi e con un impoverimento nei livelli di istruzione»

Monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, nella sua tradizionale omelia che ha accompagnato la solenne funzione eucaristica prima e l’incontro con i giornalisti poi, non ha mancato di evidenziare parecchi temi di stretta attualità. In quello che sotto tanti punti di vista può essere definito un vero e proprio “discorso alla città” ha però voluto richiamare l’attenzione dei presenti su una particolare situazione venutasi a creare, quella «della famiglia “malata”», ma non certo legato al troppo poco, ma piuttosto il contrario («Gli italiani – ha ricordato il vescovo – guidano apposite classifiche per quanto riguarda il possesso di un’abitazione di proprietà, di un’automobile, di poter intraprendere una vacanza»).

 

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Una famiglia “malata”, «perché con l’aumento delle risorse e delle possibilità attraverso i beni sta corrispondendo invece una minore capacità di trasmettere gioia, vita». Per monsignor Brambilla, le due generazioni cresciute nel dopoguerra «hanno dato tutto ai loro figli, con l’errore di aver dato troppo, risparmiando loro quei sacrifici, quelle lotte, quegli impegni che avevano permesso di fare “grande” la loro». Di vero e proprio errore strategico ha parlato il vescovo, evidenziando inoltre che «la massificazione dell’istruzione ha avuto come effetto collaterale l’impoverimento stesso del livello di istruzione. Oggi ci vogliono otto anni in più per ottenere lo stesso livello di conoscenze e di organizzazione mentale rispetto a mezzo secolo fa».

Però possiamo osservare come chi si reca all’estero riesce a togliersi soddisfazioni, ma per quelli che rimangono occorrono forti stimoli, nello studio come nel lavoro, spronandoli a rischiare». Quindi la società contemporanea sarebbe malata, ma di una febbre in “eccesso”, mentre invece un dato piuttosto triste è quello rappresentato dal fatto che oggi a chi è chiamato a ricoprire un ruolo di insegnante e formatore deve fare fronte «a stipendi troppo bassi, senza dimenticare una bassa considerazione sociale, che si esprime attraverso anche una sorta di avversione da parte di certe famiglie. Qualcuno è portato a difendere il figlio come una parte di sé, non come uno chiamato ad affrontare un domani le sfide della vita. Importante è che la famiglia diventi nuovamente alleata di coloro che insegnano, educano, formano; e che dall’altra parte queste persone siamo più esigenti». Con un invito conclusivo: quello di non smettere di sognare.

 

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«Una famiglia “malata” di eccessi e con un impoverimento nei livelli di istruzione»

Monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, nella sua tradizionale omelia che ha accompagnato la solenne funzione eucaristica prima e l’incontro con i giornalisti poi, non ha mancato di evidenziare parecchi temi di stretta attualità. In quello che sotto tanti punti di vista può essere definito un vero e proprio “discorso alla città” ha però voluto richiamare l’attenzione dei presenti su una particolare situazione venutasi a creare, quella «della famiglia “malata”», ma non certo legato al troppo poco, ma piuttosto il contrario («Gli italiani – ha ricordato il vescovo – guidano apposite classifiche per quanto riguarda il possesso di un’abitazione di proprietà, di un’automobile, di poter intraprendere una vacanza»).

 

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Una famiglia “malata”, «perché con l’aumento delle risorse e delle possibilità attraverso i beni sta corrispondendo invece una minore capacità di trasmettere gioia, vita». Per monsignor Brambilla, le due generazioni cresciute nel dopoguerra «hanno dato tutto ai loro figli, con l’errore di aver dato troppo, risparmiando loro quei sacrifici, quelle lotte, quegli impegni che avevano permesso di fare “grande” la loro». Di vero e proprio errore strategico ha parlato il vescovo, evidenziando inoltre che «la massificazione dell’istruzione ha avuto come effetto collaterale l’impoverimento stesso del livello di istruzione. Oggi ci vogliono otto anni in più per ottenere lo stesso livello di conoscenze e di organizzazione mentale rispetto a mezzo secolo fa».

Però possiamo osservare come chi si reca all’estero riesce a togliersi soddisfazioni, ma per quelli che rimangono occorrono forti stimoli, nello studio come nel lavoro, spronandoli a rischiare». Quindi la società contemporanea sarebbe malata, ma di una febbre in “eccesso”, mentre invece un dato piuttosto triste è quello rappresentato dal fatto che oggi a chi è chiamato a ricoprire un ruolo di insegnante e formatore deve fare fronte «a stipendi troppo bassi, senza dimenticare una bassa considerazione sociale, che si esprime attraverso anche una sorta di avversione da parte di certe famiglie. Qualcuno è portato a difendere il figlio come una parte di sé, non come uno chiamato ad affrontare un domani le sfide della vita. Importante è che la famiglia diventi nuovamente alleata di coloro che insegnano, educano, formano; e che dall’altra parte queste persone siamo più esigenti». Con un invito conclusivo: quello di non smettere di sognare.

 

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