Vittima di violenza trova rifugio e dei “nuovi” nonni per i 3 figli

Vittima di violenza trova rifugio e dei “nuovi” nonni per i 3 figli. È la storia a lieto fine di Fatima, donna nordafricana seguita grazie al progetto “Donne per le donne”, finanziato dalla Fondazione comunità del Novarese e avviato da Cooperativa Irene, che gestisce il centro antiviolenza nel nord della provincia di Novara.

La storia di Fatima si intreccia con quella del centro antiviolenza il 17 marzo 2020. «Quel giorno – raccontano dal centro – decide di uscire a pranzo con un’amica. Al suo rientro a casa, il marito la “punisce” con un pugno. I vicini, allarmati dalla confusione, chiedono l’intervento dei Carabinieri. Fatima viene portata tempestivamente in pronto soccorso. Si attiva il protocollo che il DEA di Borgomanero riserva per le donne vittime di violenze: nel giro di poche ore tutte le parti sono allertate. Noi, operatrici del CAV, siamo pronte ad affiancare, insieme ai servizi sociali territoriali, la donna e i suoi bambini. Fatima incontra la nostra operatrice Chiara in “stanza rosa”. Basta qualche domanda per far emergere la situazione in cui la donna era costretta a vivere.

La famiglia viveva con tre bambini in una casa senza acqua calda e riscaldamento: due stanze, una con un letto matrimoniale dove lei dormiva con i bambini, e una cucina. Scopriamo perché la donna sia uscita a pranzo con l’amica: il marito, unico con accesso alle finanze familiari, da giorni non comprava più cibo da tenere in casa, portava i bambini a mangiare in auto impedendo a Fatima di nutrirsi».

La donna accetta di essere accompagnata con i tre bambini in un albergo: una soluzione di emergenza. Ma con l’espandersi del Covid la struttura è costretta a chiudere e i quattro vengono trasferiti in una guesthouse sul lago d’Orta, utilizzata per inserimenti lavorativi mirati e chiusa al pubblico. Lì incontrano Lidia, socia della cooperativa, e il marito Domenico: alla fine dell’estate la coppia propone a Fatima di aiutarla sistemando una casa di loro proprietà, dove la donna potrebbe vivere autonomamente con i figli. Il loro percorso a fianco della donna e dei bambini si concretizza: con i servizi sociali di riferimento di costruisce un percorso di “affido”, diventando in qualche modo “nonni adottivi”.

Supportata dalla sua nuova famiglia, Fatima si iscrive a scuola, frequenta la terza media e il corso per addetti alle pulizie: ha voglia di studiare, di migliorarsi, di dare l’esempio ai propri figli. Grazie ad un colloquio allo sportello badanti, da dicembre lavora presso una famiglia. La possibilità di avere un’auto a disposizione, regalatale da un’amica, le permette di spostarsi autonomamente.

«Il percorso di Fatima e dei suoi bambini è ancora lungo, a livello concreto ma anche psicologico. Certo è che la donna e i suoi figli stanno camminando serenamente sul sentiero giusto, accompagnati e supportati, non più soli. Sappiamo che non tutte le storie di uscita dalla violenza sono così rapide, fortunate, di successo per la donna che intraprendere questo percorso. Ma quando una rete si attiva prontamente ed efficacemente, con la volontà di cercare soluzioni che mettano al centro la donna e il suo benessere in senso lato, nulla è impossibile», commenta Chiara Zanetta, presidente della cooperativa Irene, che ha scelto di raccontare questa storia come “emblematica” a conclusione del progetto “Donne per le donne”.

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Vittima di violenza trova rifugio e dei “nuovi” nonni per i 3 figli

Vittima di violenza trova rifugio e dei “nuovi” nonni per i 3 figli. È la storia a lieto fine di Fatima, donna nordafricana seguita grazie al progetto “Donne per le donne”, finanziato dalla Fondazione comunità del Novarese e avviato da Cooperativa Irene, che gestisce il centro antiviolenza nel nord della provincia di Novara.

La storia di Fatima si intreccia con quella del centro antiviolenza il 17 marzo 2020. «Quel giorno – raccontano dal centro – decide di uscire a pranzo con un’amica. Al suo rientro a casa, il marito la “punisce” con un pugno. I vicini, allarmati dalla confusione, chiedono l’intervento dei Carabinieri. Fatima viene portata tempestivamente in pronto soccorso. Si attiva il protocollo che il DEA di Borgomanero riserva per le donne vittime di violenze: nel giro di poche ore tutte le parti sono allertate. Noi, operatrici del CAV, siamo pronte ad affiancare, insieme ai servizi sociali territoriali, la donna e i suoi bambini. Fatima incontra la nostra operatrice Chiara in “stanza rosa”. Basta qualche domanda per far emergere la situazione in cui la donna era costretta a vivere.

La famiglia viveva con tre bambini in una casa senza acqua calda e riscaldamento: due stanze, una con un letto matrimoniale dove lei dormiva con i bambini, e una cucina. Scopriamo perché la donna sia uscita a pranzo con l’amica: il marito, unico con accesso alle finanze familiari, da giorni non comprava più cibo da tenere in casa, portava i bambini a mangiare in auto impedendo a Fatima di nutrirsi».

La donna accetta di essere accompagnata con i tre bambini in un albergo: una soluzione di emergenza. Ma con l’espandersi del Covid la struttura è costretta a chiudere e i quattro vengono trasferiti in una guesthouse sul lago d’Orta, utilizzata per inserimenti lavorativi mirati e chiusa al pubblico. Lì incontrano Lidia, socia della cooperativa, e il marito Domenico: alla fine dell’estate la coppia propone a Fatima di aiutarla sistemando una casa di loro proprietà, dove la donna potrebbe vivere autonomamente con i figli. Il loro percorso a fianco della donna e dei bambini si concretizza: con i servizi sociali di riferimento di costruisce un percorso di “affido”, diventando in qualche modo “nonni adottivi”.

Supportata dalla sua nuova famiglia, Fatima si iscrive a scuola, frequenta la terza media e il corso per addetti alle pulizie: ha voglia di studiare, di migliorarsi, di dare l’esempio ai propri figli. Grazie ad un colloquio allo sportello badanti, da dicembre lavora presso una famiglia. La possibilità di avere un’auto a disposizione, regalatale da un’amica, le permette di spostarsi autonomamente.

«Il percorso di Fatima e dei suoi bambini è ancora lungo, a livello concreto ma anche psicologico. Certo è che la donna e i suoi figli stanno camminando serenamente sul sentiero giusto, accompagnati e supportati, non più soli. Sappiamo che non tutte le storie di uscita dalla violenza sono così rapide, fortunate, di successo per la donna che intraprendere questo percorso. Ma quando una rete si attiva prontamente ed efficacemente, con la volontà di cercare soluzioni che mettano al centro la donna e il suo benessere in senso lato, nulla è impossibile», commenta Chiara Zanetta, presidente della cooperativa Irene, che ha scelto di raccontare questa storia come “emblematica” a conclusione del progetto “Donne per le donne”.

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