“Contagiati” dalla solidarietà

C’è chi la macchina da cucire la usa per mestiere e chi per hobby. Ma il denominatore comune in questo caso è la solidarietà. Quella di un’imprenditrice e quella di un gruppo di donne cameresi che, ciascuna rigorosamente barricata nella propria abitazione, in questi momenti di forzata inattività hanno pensato di mettere le propria esperienza lavorativa, nel primo caso, e le proprie capacità e il proprio tempo, nel secondo caso, a disposizione di chi ha bisogno. Come? Cucendo mascherine, di cui c’è un disperato bisogno, per i negozianti, per i volontari ma anche per il personale sanitario.

 

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Perché, come ha detto qualcuno, non solo il virus, ma anche la solidarietà è contagiosa.

Paola è un’imprenditrice del settore confezioni, con un laboratorio nel quale, in tempi  normali, lavorano cinque dipendenti. Adesso, ormai da più di una decina di giorni, il laboratorio è fermo e le dipendenti sono tutte a casa. Una misura precauzionale presa dalla titolare, in accordo con le dipendenti, in tempi “non sospetti” quando ancora le attività, quelle non essenziali, potevano continuare la produzione.

Ed è stato, molto probabilmente, quando si è trovata il laboratorio fermo e silenzioso che ha iniziato a pensare che, forse qualcosa, lei, che aveva anche alle spalle anni di volontariato e amici tra medici e infermieri, poteva fare  in concreto.

Deve averci pensato su tutta una notte, poi alla mattina, ha cominciato a cercare modelli. Le mascherine non le ha mai fatte, il suo settore è tutt’altro. Ma la tenacia e la voglia di mettersi in gioco per gli altri, ha avuto la meglio. Trovato il modello, studiato nei minimi dettagli, e la stoffa, che aveva già in casa, ha iniziato a cucire.

E le prime mascherine sono state distribuite ai volontari e ai negozianti di Cameri, e poi all’Ospedale Maggiore e 118. «Finché c’è stoffa si va avanti».

C’è anche Angelo, un altro camerese, titolare di un laboratorio in un altro paese dell’Ovest Ticino che si è messo a disposizione. E a loro è andato il ringraziamento del sindaco per «aver messo a disposizione materiali, forza lavoro, esperienza e macchinari». Tutto, naturalmente, nel segno della solidarietà.

E poi c’è un gruppo di donne che si sono attivate, ognuna a casa sua, e che lavorano ormai da giorni, chine sulle macchine.

«Avevo un sacco di lenzuola nuove di cotone, le ho lavate, disinfettate e sterilizzate e ho pensato di realizzare delle mascherine lavabili». Antonia, casalinga cinquantenne si è messa all’opera. E a lei se ne sono aggiunte altre, Daniela, Micol e Annamaria, tutte collegate tra di loro via whatsApp.

Ricevono l’ordinazione, via telefono, ciascuna produce e “consegna”, nel rispetto di tutte le misure imposte, in sacchetti rigorosamente sigillati, ai volontari del Comune.

In cinque giorni più di 300 le mascherine fatte e consegnate. «Continueremo ad oltranza».

E poi c’è tutta la schiera dei volontari, studenti, lavoratori in congedo forzato e qualche pensionato, che hanno risposto all’appello del Comune.

 

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“Contagiati” dalla solidarietà

C’è chi la macchina da cucire la usa per mestiere e chi per hobby. Ma il denominatore comune in questo caso è la solidarietà. Quella di un’imprenditrice e quella di un gruppo di donne cameresi che, ciascuna rigorosamente barricata nella propria abitazione, in questi momenti di forzata inattività hanno pensato di mettere le propria esperienza lavorativa, nel primo caso, e le proprie capacità e il proprio tempo, nel secondo caso, a disposizione di chi ha bisogno. Come? Cucendo mascherine, di cui c’è un disperato bisogno, per i negozianti, per i volontari ma anche per il personale sanitario.

 

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Perché, come ha detto qualcuno, non solo il virus, ma anche la solidarietà è contagiosa.

Paola è un’imprenditrice del settore confezioni, con un laboratorio nel quale, in tempi  normali, lavorano cinque dipendenti. Adesso, ormai da più di una decina di giorni, il laboratorio è fermo e le dipendenti sono tutte a casa. Una misura precauzionale presa dalla titolare, in accordo con le dipendenti, in tempi “non sospetti” quando ancora le attività, quelle non essenziali, potevano continuare la produzione.

Ed è stato, molto probabilmente, quando si è trovata il laboratorio fermo e silenzioso che ha iniziato a pensare che, forse qualcosa, lei, che aveva anche alle spalle anni di volontariato e amici tra medici e infermieri, poteva fare  in concreto.

Deve averci pensato su tutta una notte, poi alla mattina, ha cominciato a cercare modelli. Le mascherine non le ha mai fatte, il suo settore è tutt’altro. Ma la tenacia e la voglia di mettersi in gioco per gli altri, ha avuto la meglio. Trovato il modello, studiato nei minimi dettagli, e la stoffa, che aveva già in casa, ha iniziato a cucire.

E le prime mascherine sono state distribuite ai volontari e ai negozianti di Cameri, e poi all’Ospedale Maggiore e 118. «Finché c’è stoffa si va avanti».

C’è anche Angelo, un altro camerese, titolare di un laboratorio in un altro paese dell’Ovest Ticino che si è messo a disposizione. E a loro è andato il ringraziamento del sindaco per «aver messo a disposizione materiali, forza lavoro, esperienza e macchinari». Tutto, naturalmente, nel segno della solidarietà.

E poi c’è un gruppo di donne che si sono attivate, ognuna a casa sua, e che lavorano ormai da giorni, chine sulle macchine.

«Avevo un sacco di lenzuola nuove di cotone, le ho lavate, disinfettate e sterilizzate e ho pensato di realizzare delle mascherine lavabili». Antonia, casalinga cinquantenne si è messa all’opera. E a lei se ne sono aggiunte altre, Daniela, Micol e Annamaria, tutte collegate tra di loro via whatsApp.

Ricevono l’ordinazione, via telefono, ciascuna produce e “consegna”, nel rispetto di tutte le misure imposte, in sacchetti rigorosamente sigillati, ai volontari del Comune.

In cinque giorni più di 300 le mascherine fatte e consegnate. «Continueremo ad oltranza».

E poi c’è tutta la schiera dei volontari, studenti, lavoratori in congedo forzato e qualche pensionato, che hanno risposto all’appello del Comune.

 

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