La mostra del Centre Pompidou di Parigi, aperta fino al 5 settembre sarà una delle ultime prima della prevista chiusura per gli annunciati imponenti lavori di restauro. Espressionismo, Nuova oggettività e Anni Venti sono in effetti di casa al Centre Pompidou; ricordo solo, en passant, la favolosa mostra antologica su Otto Dix di qualche decennio fa, quella successiva su George Grosz, senza parlare della colossale “Paris/Berlin” e tante altre che si sono succedute in oltre quarant’anni di attività.
Tuttavia il taglio di questa ultima mostra è piuttosto particolare, come si può facilmente evincere anche dal titolo: il razionalismo tedesco del Bauhaus e la pittura “oggettiva” intersecate dallo sguardo, anch’esso oggettivo, di uno dei più grandi fotografi tedeschi, August Sander. Dopo la Grande Guerra, in Germania si respira un’aria di totale disillusione e allo stesso tempo, un desiderio di nuova razionalità, dopo l’irrazionalità della tragedia bellica. L’arte, come un infallibile sismografo, registra gli umori di una società e ne guida al contempo il gusto, ne determina le scelte in campo visivo, ma anche architettonico, urbanistico e nell’ambito del nascente design. All’apparenza, ma solo all’apparenza, la mostra del Pompidou, appare forse un po’ disarticolata, poiché assembla molto materiale, ma senza dare l’idea di una reale continuità o conseguenzialità delle opere esposte. In realtà le mostre del Centre Pompidou sono sempre molto poco didattiche e lasciano ampia libertà interpretativa al visitatore. L’aver collocato, anche fisicamente, al centro dell’esposizione l’ampia sezione dedicata ad August Sander, sembra essere una scelta coerente con questo approccio, anche se un po’ spiazzante, soprattutto per il visitatore meno smaliziato. Quel che è certo è che la poderosa presenza delle fotografie di Sander, non è certo una bizzarria dei curatori, se si pensa che August Sander è una fugura-ponte tra la fotografia di stampo ottocentesco e la fotografia moderna.
I pezzi esposti, insieme alle più note tele di George Grosz, di Otto Dix, di Christian Schad, ma anche ad altre meno note come quelle di Lotte Perchner, di Albert Birkle, appartengono alla straordinaria raccolta intitolata “Uomini del XX Secolo”, un lavoro sistematico di catalogazione di tipi umani della società tedesca (la catalogazione è un inevitabile retaggio del razionalismo). Il lavoro è suddiviso in sette gruppi tematici, con una quarantina di ritratti per ogni sezione e cerca di dar conto dello sviluppo dei mestieri e delle professioni a partire dai gradini più bassi, quelli che spettavano ai contadini e agli operai,fino agli artigiani e ai professionisti e agli imprenditori, attraverso, appunto “l’oggettività” della fotografia o, per essere più precisi, del fotoritratto. È tuttavia evidente che questa ricerca, nata per fini per così dire “sociali”, finisca in realtà per essere più una ricerca sulla psicologia dell’individuo che non uno studio sociologico di mestieri e professioni. Tra gli scatti più noti esposti a Beaubourg il celeberrimo notaio accompagnato dall’inquientante levriero, il ritratto del prete cattolico, quello della missionaria e tanti altri celeberrimi. Nella sezione fotografica collaterale a quella di Sander, vanno certamente ricordati gli scatti di Martin Höling (magnifico il suo Europa Tanz Pavillon) o la magnifica affiche per la Deutscher Werkbund di Will Baumeister del 1927. Di particolare interesse poi, oltre la prevedibile oggettistica da Bauhaus dalla spietata estetica razionalista, una curiosa sezione dedicata alla trasgressione, al mondo omosessuale e transgender, temi oltremodo invisi ai nazisti che, di lì a poco, avrebbero preso il potere.
Un ampio spazio è dedicato alla pittura industriale, se così possiamo chiamarla, e che ha la sua totale sublimazione (o degenerazione, dipende dai punti di vista), in “Der Maensch als Industriepalast”, ovvero l’uomo come edificio industriale, un manifesto che riproduce uno spaccato del corpo umano con la rappresentazione dei suoi apparati come fossero catene di montaggio. Brutaliste e angoscianti anche le opere di Kluas Völker, come “Beton” del 1924 (anno in cui in Francia nasceva ufficialmente il Surrealismo), con binari ferroviari che sprofondano in un sottopasso di cemento. Ampio anche il repertorio di quadri che rappresentano infrastrutture ingegneristiche e raggelanti, spietatamente “oggettive”. La mostra di Beaubourg, mette in evidenza, e anche questo è un suo merito, una oggettività spesso disumanizzante e lontana dalle altre avanguardie artistiche del Novecento.