Augusto Betti, artista e designer

Tra tanto parlare di design e di designers (veri o presunti), soprattutto in questa settimana che sta terminando, quella del Salone del mobile di Rho Fiera e della Design Week -Fuorisalone di Milano, la Fondazione Sozzani, ha pensato bene di mettere in vetrina le opere di un “designer vero”, ma poco conosciuto dal grande pubblico, ovvero Augusto Betti (1919-2013), che é stato allievo di un certo Giorgio Morandi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Le sue creazioni, anche a causa della sua ritrosia, sono sempre state esposte con parsimonia e, molto spesso, in esposizioni collettive, in mezzo a quelle di autori famosi o celeberrimi dell’arte e del design, come Enrico Castellani, Gianni Colombo, Dadamaino, Lucio Fontana, Ugo La Pietra, Piero Manzoni, solo per citarne alcuni. La mostra di Corso Como Dieci, offre una piccola ma preziosa rassegna delle sue opere d’arte e dei suoi oggetti d’arredo, a cominciare dalla magnifica poltrona “Noodle” del 1967, al tavolino “Glass”, anch’esso del 1967 e al divano “Prisma” del 1971. Gli oggetti, anche a prima vista, mostrano l’inconfondibile imprimatur degli oggetti progettati appunto da un designer “vero”: estetica che segue la funzione e non viceversa, purezza delle linee del disegno, rigore e nitore di cromie e materiali.

È forse inutile ribadirlo, ma il design è tale quando sotto di esso c’è un pensiero e, le tante, forse troppe, cose inutili viste al Fuorisalone, lo dimostrano. La Fondazione Sozzani mette in mostra anche diverse “cassette”, opere sotto vetro, raffinate e ricercate, di buon impatto nel loro aspetto vagamente psichedelico, che possono ben sostituire le tradizionali tele e che ricordano, per elementi e materiali compositivi, le “diapositive preparate” di un mostro sacro del design internazionale quale fu Bruno Munari, insieme oltre a belle sculture in vetroresina.

Ancora tra i pezzi d’arredamento, va ricordato il tavolo “Austere” del 1964, la sedia “Ciclope” e la magnifica lampada “Parete luce”. Il tutto concorre a ricreare quella indimenticabile e indimenticata atmosfera degli anni Sessanta e Settanta che videro la nascita del design italiano e, soprattutto, il posto di rilievo e il prestigio che seppe ritagliarsi nel mondo. Poi, storicizzando le creazioni, possiamo ben fare un paragone, con tutto il “resto”…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Augusto Betti, artista e designer

Tra tanto parlare di design e di designers (veri o presunti), soprattutto in questa settimana che sta terminando, quella del Salone del mobile di Rho Fiera e della Design Week -Fuorisalone di Milano, la Fondazione Sozzani, ha pensato bene di mettere in vetrina le opere di un “designer vero”, ma poco conosciuto dal grande pubblico, ovvero Augusto Betti (1919-2013), che é stato allievo di un certo Giorgio Morandi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Le sue creazioni, anche a causa della sua ritrosia, sono sempre state esposte con parsimonia e, molto spesso, in esposizioni collettive, in mezzo a quelle di autori famosi o celeberrimi dell’arte e del design, come Enrico Castellani, Gianni Colombo, Dadamaino, Lucio Fontana, Ugo La Pietra, Piero Manzoni, solo per citarne alcuni. La mostra di Corso Como Dieci, offre una piccola ma preziosa rassegna delle sue opere d’arte e dei suoi oggetti d’arredo, a cominciare dalla magnifica poltrona “Noodle” del 1967, al tavolino “Glass”, anch’esso del 1967 e al divano “Prisma” del 1971. Gli oggetti, anche a prima vista, mostrano l’inconfondibile imprimatur degli oggetti progettati appunto da un designer “vero”: estetica che segue la funzione e non viceversa, purezza delle linee del disegno, rigore e nitore di cromie e materiali.

È forse inutile ribadirlo, ma il design è tale quando sotto di esso c’è un pensiero e, le tante, forse troppe, cose inutili viste al Fuorisalone, lo dimostrano. La Fondazione Sozzani mette in mostra anche diverse “cassette”, opere sotto vetro, raffinate e ricercate, di buon impatto nel loro aspetto vagamente psichedelico, che possono ben sostituire le tradizionali tele e che ricordano, per elementi e materiali compositivi, le “diapositive preparate” di un mostro sacro del design internazionale quale fu Bruno Munari, insieme oltre a belle sculture in vetroresina.

Ancora tra i pezzi d’arredamento, va ricordato il tavolo “Austere” del 1964, la sedia “Ciclope” e la magnifica lampada “Parete luce”. Il tutto concorre a ricreare quella indimenticabile e indimenticata atmosfera degli anni Sessanta e Settanta che videro la nascita del design italiano e, soprattutto, il posto di rilievo e il prestigio che seppe ritagliarsi nel mondo. Poi, storicizzando le creazioni, possiamo ben fare un paragone, con tutto il “resto”…

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