Babylon nella testa di Chazelle

Sembra ormai che le “riflessioni cinematografiche” sul cinema si moltiplichino all’infinito: è appena uscito nelle sale “The Fabelmans” di Steven Spielberg , ed ecco arrivare anche “Babylon” di Damien Chazelle. Che dire del caravanserraglio del regista di “La la Land”? Difficile scriverne, ma anche difficile vederlo senza farsi venire il mal di testa, o anche il voltastomaco per i più deboli.

Il racconto prende le mosse nella Los Angeles del 1926, dove il cinema sta vivendo il primo dei suoi periodi d’oro. La vicenda narrata è quella di quattro personaggi: Jack Conrad strapagato attore dalla vita spericolata fatta di donne, alcol, cocaina e ruoli cinematografici; Nellie LaRoy, aspirante attrice prima e affermata dopo che, come sopra, rincorre successi ed eccessi; Manny Torres, ispano-americano anche lui aspirante attore, trovarobe e factotum dei set; Sidney Palmer, jazzista prima e attore dopo. I quattro personaggi vengono centrifugati a dovere dal delirio di onnipotenza di Chazelle che, partito con l’ambizione di scrivere la storia cinematografica del cinema, finisce col costruire un film-incubo dove tutto si aggroviglia, in un frastornante calembour di eccessi (eccessi eccessivi), in una paccottiglia che vorrebbe sembrare un colossal per ambizione, ma che finisce con essere un baraccone dove si raccoglie di tutto: dai fratelli Lumière alla fine del cinema muto e al conseguente avvento del sonoro, dallo splatter più ridicolo fino al sentimentalismo di maniera. Tre ore di film, delle quali almeno due del tutto superflue, condite da una colonna sonora di finto jazz composta da Justin Hurwitz che dopo “La La Land” si è un po’ montato la testa, decidendo che la musica della Los Angels anni Venti, fosse la sua. Particolare menzione (si fa per dire) al finale che spara negli occhi dello spettatore le più famose sequenze della storia del cinema universale, inframezzate da schermate blu elettrico e verde pisello, in una sorta di gran finale di uno spettacolo pirotecnico in una festa di paese. I tempi di “Effetto notte” sono passati e forse senza che Damien Chazelle abbia mai visto Truffaut…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Babylon nella testa di Chazelle

Sembra ormai che le “riflessioni cinematografiche” sul cinema si moltiplichino all’infinito: è appena uscito nelle sale “The Fabelmans” di Steven Spielberg , ed ecco arrivare anche “Babylon” di Damien Chazelle. Che dire del caravanserraglio del regista di “La la Land”? Difficile scriverne, ma anche difficile vederlo senza farsi venire il mal di testa, o anche il voltastomaco per i più deboli.

Il racconto prende le mosse nella Los Angeles del 1926, dove il cinema sta vivendo il primo dei suoi periodi d’oro. La vicenda narrata è quella di quattro personaggi: Jack Conrad strapagato attore dalla vita spericolata fatta di donne, alcol, cocaina e ruoli cinematografici; Nellie LaRoy, aspirante attrice prima e affermata dopo che, come sopra, rincorre successi ed eccessi; Manny Torres, ispano-americano anche lui aspirante attore, trovarobe e factotum dei set; Sidney Palmer, jazzista prima e attore dopo. I quattro personaggi vengono centrifugati a dovere dal delirio di onnipotenza di Chazelle che, partito con l’ambizione di scrivere la storia cinematografica del cinema, finisce col costruire un film-incubo dove tutto si aggroviglia, in un frastornante calembour di eccessi (eccessi eccessivi), in una paccottiglia che vorrebbe sembrare un colossal per ambizione, ma che finisce con essere un baraccone dove si raccoglie di tutto: dai fratelli Lumière alla fine del cinema muto e al conseguente avvento del sonoro, dallo splatter più ridicolo fino al sentimentalismo di maniera. Tre ore di film, delle quali almeno due del tutto superflue, condite da una colonna sonora di finto jazz composta da Justin Hurwitz che dopo “La La Land” si è un po’ montato la testa, decidendo che la musica della Los Angels anni Venti, fosse la sua. Particolare menzione (si fa per dire) al finale che spara negli occhi dello spettatore le più famose sequenze della storia del cinema universale, inframezzate da schermate blu elettrico e verde pisello, in una sorta di gran finale di uno spettacolo pirotecnico in una festa di paese. I tempi di “Effetto notte” sono passati e forse senza che Damien Chazelle abbia mai visto Truffaut…

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