C’è ancora domani 

Dalla rubrica Chez Mimich

Per una volta cominciamo dal pubblico in sala e non dal film: una sala gremita alle quindici di domenica pomeriggio, di questi tempi almeno, è sempre qualcosa di sospetto. Infatti si percepisce che non si tratta del pubblico abituale amante del cinema, ma prettamente di un pubblico televisivo, trasferitosi al cinema per via della regista-interprete Paola Cortellesi; un pubblico che commenta le scene più pregnanti come è abituato a fare nel salotto di casa, davanti alla televisione, col marito o con la moglie.

Ma queste sono osservazioni di contorno, benché abbiano una loro pertinenza.  Paola Cortellesi è stata attrice (ma soprattutto intrattenitrice), ma mai regista, e questo lo si nota dopo poche inquadrature e bisogna, tuttavia, ammettere che il film non è di cattiva qualità. E’ un prodotto con una sua dignità costruito intorno a Delia, proletaria romana, e ad Ivano il marito-padrone che usa più le mani che i sentimenti per tenere in piedi una famiglia che vive di privazioni e stenti. Sarà il probabile fidanzamento della figlia maggiore Marcella a far deflagrare la situazione: la ragazza infatti si innamora del figlio del proprietario del bar più elegante del quartiere, ma quando Delia si accorge che anche Marcella sta per finire nelle mani di un uomo-padrone, decide (probabilmente) di fuggire con il primo amore, un meccanico male in arnese che sta per trasferirsi al nord. Questo esile impianto narrativo si intreccia con le vicende del’immediato secondo dopoguerra, con gli americani ancora di stanza a Roma e il primo voto femminile alle porte. Paola Cortellesi profonde il massimo sforzo e ottiene un apprezzabile risultato, imbastendo un film dignitoso, ma sceglie per la sua narrazione un bianco/nero piuttosto prevedibile e che, inutile dirlo, vuole richiamare le atmosfere del neorealismo italiano (solo che la signora Cortellesi non è Roberto Rossellini e forse avrebbe dovuto ricercare modelli più vicini al suo pubblico e alle sue capacità).

Ritmo sincopato, qualche piccola divertente gag, qualche misurato sconfinamento nella surrealtà, con qualche buona trovata (come il ballo tra Ivano e Delia) strizzando l’occhio ad un pubblico di bocca buona alla ricerca di conferme alle proprie convinzioni, ma nulla di più. Se si tratta di fare della divulgazione al grande pubblico del politicamente corretto, il bersaglio è stato centrato in pieno, se invece Cortellesi pensa che basti un b/n, che fa molto “Giornata particolare”, e crede di essere nel Barrio “Roma” di Alfonso Cuaron, allora è parecchio fuori strada. Ma diamo tempo al tempo, una prima regia un po’acerba non significa che non ne possano seguire altre migliori. È ancora giovane e ha tanto tempo davanti…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Per una volta cominciamo dal pubblico in sala e non dal film: una sala gremita alle quindici di domenica pomeriggio, di questi tempi almeno, è sempre qualcosa di sospetto. Infatti si percepisce che non si tratta del pubblico abituale amante del cinema, ma prettamente di un pubblico televisivo, trasferitosi al cinema per via della regista-interprete Paola Cortellesi; un pubblico che commenta le scene più pregnanti come è abituato a fare nel salotto di casa, davanti alla televisione, col marito o con la moglie.

Ma queste sono osservazioni di contorno, benché abbiano una loro pertinenza.  Paola Cortellesi è stata attrice (ma soprattutto intrattenitrice), ma mai regista, e questo lo si nota dopo poche inquadrature e bisogna, tuttavia, ammettere che il film non è di cattiva qualità. E’ un prodotto con una sua dignità costruito intorno a Delia, proletaria romana, e ad Ivano il marito-padrone che usa più le mani che i sentimenti per tenere in piedi una famiglia che vive di privazioni e stenti. Sarà il probabile fidanzamento della figlia maggiore Marcella a far deflagrare la situazione: la ragazza infatti si innamora del figlio del proprietario del bar più elegante del quartiere, ma quando Delia si accorge che anche Marcella sta per finire nelle mani di un uomo-padrone, decide (probabilmente) di fuggire con il primo amore, un meccanico male in arnese che sta per trasferirsi al nord. Questo esile impianto narrativo si intreccia con le vicende del’immediato secondo dopoguerra, con gli americani ancora di stanza a Roma e il primo voto femminile alle porte. Paola Cortellesi profonde il massimo sforzo e ottiene un apprezzabile risultato, imbastendo un film dignitoso, ma sceglie per la sua narrazione un bianco/nero piuttosto prevedibile e che, inutile dirlo, vuole richiamare le atmosfere del neorealismo italiano (solo che la signora Cortellesi non è Roberto Rossellini e forse avrebbe dovuto ricercare modelli più vicini al suo pubblico e alle sue capacità).

Ritmo sincopato, qualche piccola divertente gag, qualche misurato sconfinamento nella surrealtà, con qualche buona trovata (come il ballo tra Ivano e Delia) strizzando l’occhio ad un pubblico di bocca buona alla ricerca di conferme alle proprie convinzioni, ma nulla di più. Se si tratta di fare della divulgazione al grande pubblico del politicamente corretto, il bersaglio è stato centrato in pieno, se invece Cortellesi pensa che basti un b/n, che fa molto “Giornata particolare”, e crede di essere nel Barrio “Roma” di Alfonso Cuaron, allora è parecchio fuori strada. Ma diamo tempo al tempo, una prima regia un po’acerba non significa che non ne possano seguire altre migliori. È ancora giovane e ha tanto tempo davanti…

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.