Il Centre Pompidou sembra fatto apposta per ospitare una mostra di Chris Ware, uno dei più grandi fumettisti del mondo. Anzi sono i graphic novel di Chris Ware ad essere adatti ad essere ospitati in un giocattolone meccanico come il Centre Pompidou. Potremmo dire che le due cose sono fatte l’una per l’altra. Tuttavia il Beaubourg non aveva mai ospitato una mostra di Chris Ware e, probabilmente nemmeno Ware aveva mai disegnato il Centre parigino in una sua striscia. Per fortuna in queste settimane e fino al prossimo 10 ottobre, il Centre Pompidou ospita una magnifica esposizione sul lavoro del grande fumettista statunitense. Chris Ware, va detto per i pochi che non lo conoscessero, non è solo uno straordinario disegnatore e narratore, ma è anche un “progettatore” e “ costruttore” di libri.
Per lui il disegno della striscia, il lettering, lo story board, non esauriscono il suo lavoro. Ware si occupa infatti dell’intero processo di produzione di un graphic novel e la mostra parigina vuole render nota questa sua caratteristica, attraverso una esposizione cronologica del suo lavoro che parte da Chicago, dove Ware comincia a pubblicare dagli anni Novanta i suoi lavori su RAW, la rivista d’avanguardia diretta da Art Spiegelman e François Mauly. La sua carriera prosegue quindi con la creazione di grandi personaggi, anche se sempre un po’ di nicchia, come Quimby the Mouse, Potato Guy, Sparkly e, soprattutto, il Forrest Gump del mondo del fumetto, ovvero Jimmy Corrigan. Su di lui ebbero grande influenza mostri sacri della striscia come l’incommensurabile George Herriman e Frank King, autori degli indimenticabili ed indimenticati “Krazy Kat” e “Gasoline Alley”.
I fumetti di Ware sembrano non avere un principio né una fine, sembrano un nastro continuo, un repertorio infinito di vicende umane, luoghi e oggetti, dove l’oggetto può occupare, per importanza, lo stesso posto di un personaggio, in una abolizione di gerarchie grafiche di assoluta originalità. Nulla sfugge al suo analitico e maniacale tratto sintetico ed iper didascalico.
Non per nulla i pannelli esplicativi della mostra di Beaubourg fanno esplicito riferimento alla scrittura di Georges Perec di “La Vie mode d’emploi”. A questo proposito è bene ricordare che nelle sue “Building Stories”, sono raccontate storie di edifici comuni che vengono scandagliati dal pennino e dai pennelli di Ware, storie di edifici che danno spazio a storie umane che si intrecciano con le storie degli edifici, in una dialettica infinita descritta con la minuzia di un grande creatore di segni sintetici e analitici al tempo stesso. Qualcosa di simile a ciò che Gianfranco Baruchello ha fatto con le sue grafiche, ma senza una incalzante e stringente logica narrativa.
Anche la successiva serie di “Rusty Brown” ha pagine sequenziali e sincroniche, figurative e ideografiche, con un segno ormai rigorosamente codificato che racconta l’ordine e il disordine delle cose. Mostra importantissima e meritatissimo riconoscimento per un grande artista del graphic novel, bellissime le tavole esposte, completi gli apparati e le carte, curiosi i gadget, a cominciare dal diabolico puzzle prodotto da una casa editrice giapponese e tratto da un suo disegno.
Il Centre Pompidou si dimostra, ancora una volta essere uno straordinario diffusore e divulgatore culturale.