Clint Eastwood, Cry macho

Qualche volta, credo capiti a tutti, si va al cinema per disperazione diciamo, senza essere troppo drammatici, perché non abbiamo niente di meglio da fare. E così ci si accontenta anche di film o di registi che magari non fanno proprio parte del nostro Olimpo personale. Io nutro sempre molti pregiudizi e sul cinema ne nutro ancora di più: ne nutro su registi, generi cinematografici, attori. Cerco di vincerli (i pregiudizi) e faccio male perché se un film si intitola “Cry Macho”, diciamolo chiaramente, non promette niente di buono.

Ci si affida allora al nome del regista, anche in virtù del suo passato di attore celebrato, Clint Eastwood, che qualche buon film è pur riuscito a farlo, penso a “Gran Torino” o a “Million Dollar Baby” e altri. E così, complice la noia pre-natalizia e il vuoto pneumatico-culturale che preannuncia la garrule festività, ho ceduto alla non-tentazione di andarlo a vedere. Ve lo “spoilero” per bene, così che vi togliate dalla testa l’idea di buttare nel cesso otto o nove euro. Un ex cowboy, pensionato per raggiunti limiti di età, è incaricato da un bovaro, anzi no, da un allevatore di cavalli, di andare a recuperare il figlio borderline fuggito in un remoto villaggio messicano.

Il cowboy esegue e lo trova dedito al combattimento di galli ed altri imbrogli di piccolo cabotaggio. Riportandolo a casa si trova impelagato con la cattiveria della madre del ragazzino un po’ ninfomane e vagamente cocainomane e con il senso del dovere dello sceriffo scemo e corrotto del paese, ma grazie alla collaborazione di una “benefattrice di paese” e a un po’ di culo, su una sgangherata macchina, attraversa il confine desertico e riporta la “testa di minkia” a papino. Fine. Grandissima l’interpretazione del gallo, sul resto stendiamo un velo pietoso e bello spesso di modo che non si possa vedere niente.

Dal fronte della disperazione domenicale è tutto, a Voi studio…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Qualche volta, credo capiti a tutti, si va al cinema per disperazione diciamo, senza essere troppo drammatici, perché non abbiamo niente di meglio da fare. E così ci si accontenta anche di film o di registi che magari non fanno proprio parte del nostro Olimpo personale. Io nutro sempre molti pregiudizi e sul cinema ne nutro ancora di più: ne nutro su registi, generi cinematografici, attori. Cerco di vincerli (i pregiudizi) e faccio male perché se un film si intitola “Cry Macho”, diciamolo chiaramente, non promette niente di buono.

Ci si affida allora al nome del regista, anche in virtù del suo passato di attore celebrato, Clint Eastwood, che qualche buon film è pur riuscito a farlo, penso a “Gran Torino” o a “Million Dollar Baby” e altri. E così, complice la noia pre-natalizia e il vuoto pneumatico-culturale che preannuncia la garrule festività, ho ceduto alla non-tentazione di andarlo a vedere. Ve lo “spoilero” per bene, così che vi togliate dalla testa l’idea di buttare nel cesso otto o nove euro. Un ex cowboy, pensionato per raggiunti limiti di età, è incaricato da un bovaro, anzi no, da un allevatore di cavalli, di andare a recuperare il figlio borderline fuggito in un remoto villaggio messicano.

Il cowboy esegue e lo trova dedito al combattimento di galli ed altri imbrogli di piccolo cabotaggio. Riportandolo a casa si trova impelagato con la cattiveria della madre del ragazzino un po’ ninfomane e vagamente cocainomane e con il senso del dovere dello sceriffo scemo e corrotto del paese, ma grazie alla collaborazione di una “benefattrice di paese” e a un po’ di culo, su una sgangherata macchina, attraversa il confine desertico e riporta la “testa di minkia” a papino. Fine. Grandissima l’interpretazione del gallo, sul resto stendiamo un velo pietoso e bello spesso di modo che non si possa vedere niente.

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