Mio nonno Giovanni mi ci portava qualche volta, perché lì abitava una sarta che suppongo avesse un debole per lui e, naturalmente, lui per lei. Non mi ricordo molto della sua casa/laboratorio, mi ricordo solo che stava al piano terra e che per entrare in casa sua ci si doveva fare strada tra gatti, biciclette e vasi di fiori. All’interno dell’atelier (per usare un termine un po’ esagerato), c’era sempre molto vapore, soprattutto in inverno a causa di una minestra perennemente sul fuoco e del ferro da stiro adagiato sui “cerchi” in ghisa della stufa a legna e carbone.

Da giovincello ci andai altre volte perché lì c’era la redazione del “Corriere di Novara”; ci andavamo per portare i comunicati degli studenti in quegli anni perennemente in lotta. Nella redazione picchettavano costantemente i martelletti delle macchine da scrivere, c’erano giornali ovunque e vecchie scrivanie. Ma da studente del liceo artistico ci andai altre volte anche per un altro motivo: vi abitava Sebastiano Vassalli, nostro insegnante del quinto anno del liceo artistico.

Tutti sanno che Vassalli le dedicò lo straordinario romanzo “Cuore di Pietra” (Einaudi). Poi piano piano, perse tutti i suoi abitanti, quelli che ho ricordato e tanti altri. Ora ha un solo abitante, quello che vedete qui sopra che si barcamena inutilmente sul filo di un quanto mai incerto destino… Da bambino pensavo che mi sarebbe piaciuto abitarci, da adolescente pensavo che un giorno sarebbe diventata un museo, da adulto ho sperato che non fosse abbandonata, da uomo maturo ho continuato a sperare, da anziano penso che morirà prima lei di me (non è detto, ma ci sono ottime possibilità, poiché è in coma da tempo senza essere nemmeno passata dalla terapia intensiva).

Si sbagliava Sebastiano Vassalli, il cuore di pietra non è lei, ma siamo noi che assistiamo alla sua lunga agonia senza fare nulla se non guardare quello smarrito equilibrista su un filo teso verso il nulla…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Cuori di pietra

Mio nonno Giovanni mi ci portava qualche volta, perché lì abitava una sarta che suppongo avesse un debole per lui e, naturalmente, lui per lei. Non mi ricordo molto della sua casa/laboratorio, mi ricordo solo che stava al piano terra e che per entrare in casa sua ci si doveva fare strada tra gatti, biciclette e vasi di fiori. All'interno dell'atelier (per usare un termine un po' esagerato), c'era sempre molto vapore, soprattutto in inverno a causa di una minestra perennemente sul fuoco e del ferro da stiro adagiato sui "cerchi" in ghisa della stufa a legna e carbone.

Da giovincello ci andai altre volte perché lì c'era la redazione del "Corriere di Novara"; ci andavamo per portare i comunicati degli studenti in quegli anni perennemente in lotta. Nella redazione picchettavano costantemente i martelletti delle macchine da scrivere, c'erano giornali ovunque e vecchie scrivanie. Ma da studente del liceo artistico ci andai altre volte anche per un altro motivo: vi abitava Sebastiano Vassalli, nostro insegnante del quinto anno del liceo artistico.

Tutti sanno che Vassalli le dedicò lo straordinario romanzo "Cuore di Pietra" (Einaudi). Poi piano piano, perse tutti i suoi abitanti, quelli che ho ricordato e tanti altri. Ora ha un solo abitante, quello che vedete qui sopra che si barcamena inutilmente sul filo di un quanto mai incerto destino... Da bambino pensavo che mi sarebbe piaciuto abitarci, da adolescente pensavo che un giorno sarebbe diventata un museo, da adulto ho sperato che non fosse abbandonata, da uomo maturo ho continuato a sperare, da anziano penso che morirà prima lei di me (non è detto, ma ci sono ottime possibilità, poiché è in coma da tempo senza essere nemmeno passata dalla terapia intensiva).

Si sbagliava Sebastiano Vassalli, il cuore di pietra non è lei, ma siamo noi che assistiamo alla sua lunga agonia senza fare nulla se non guardare quello smarrito equilibrista su un filo teso verso il nulla...

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.