Dara Birnbaume i suoi “Atti rivoluzionari”

Definire Dara Birnbaum, una fotografa è certamente riduttivo, definirla una filmaker, anche; mi piacerebbe definirla una conservatrice di immagini, ma anche questa definizione non sarebbe esatta. Forse è una “turbatrice di immagini”. Ammetto che non si tratti di una bella definizione, ma credo si avvicini al modus operandi dell’artista statunitense, della quale l’Osservatorio Prada di Milano in Galleria a Milano offre, fino alla fine di settembre, una significativa mostra intitolata “Atti rivoluzionari”, curata da Brabara London con Valentino Catricalà ed Eva Fabbris, aperta fino al prossimo 25 settembre.

Nella fascinosissima sede dell’Osservatorio sono in visione una serie di video monocanale, audio, installazioni multicanale, fotografie e qualche stampa in 3D che danno bene l’idea della complessità concettuale che ha guidato l’artista dagli anni Settanta ad oggi. Se volessimo trovare, ed è molto difficile farlo, un filo conduttore dell’opera della Birnbaum, questo potrebbe essere ritrovato nel distacco del corpo dalla sua rappresentazione. Ciò avviene soprattutto attraverso la proposta di consuete e qualche volta ossessive, immagini televisive. È per esempio il caso di “Six Movements: Chaired Anxieties: Abandoned” del 1975, ispirato ad un video di Vito Acconci. Si tratta di meditazioni visive spesso di difficile interpretazione e di una voluta ambiguità, ma si tratta di immagini fondamentali per meditare sulla capacità/incapacità del mezzo televisivo verso la “comunicazione”.

Provocatorio e sanamente sconcertante, in un mondo, quello degli anni Ottanta, dove tutto vorrebbe essere il contrario, è “Pop-Pop Video: General Hospital/Olympic Women Speed Skating” del 1980, lavoro partorito durante una residenza artistica su influenza di una pellicola di Jean-Luc-Godard per la televisione. Immagini di pattinatrici olimpioniche che si avvicendano sulla pista tornando sempre alla linea di partenza, alternate a quelle di una soap-opera dove medico e paziente tentano di ricomporre un conflitto. Qui è la meditazione su quella che l’artista chiama il “trattamento televisivo”, ad essere scomposto ed analizzato. Guardando queste immagini la riflessione corre a ciò che siamo noi, meglio a ciò che siamo diventati dopo anni di “trattamenti televisivi”. La lente di ingrandimento “femminista” è più che evidente nei lavori della Birnbaum.

Esemplare in questo caso è “Damnation of Faust Trilogy” un’opera video sviluppata tra il 1983 e il 1987, una versione dell’opera ambientata a Soho (Nyc) tra famiglie di italiani e portoghesi, dove la conflittualità per l’affermazione della propria identità (anche sessuale), risulta particolarmente accesa. Del 1981 è il possente “New Music Short” video analogico impregnato delle atmosfere della scena post-punk newyorkese composto con riprese del concerto dei Radio Fire Fight al Mudd Club e con le immagini del compositore Glenn Branca che esegue lo sua inascoltabile “Symphony No. 1” al Performing Garage di Soho, piccolo teatro alternativo newyorkese di quegli anni. Tra le immagini della mostra anche un (doveroso) tributo alle “anime” con “Quiet Disaster” dove la Birnbaum mostra tre personaggi in pericolo, stampati su dischi di plexiglas che enfatizzano l’estrapolazione dei ritratti dai loro contesti originali, mettendo in mostra come l’operazione ne accentui isolamento e drammaticità iconica come accade alle immagini proposte dai media.

Ma il pezzo forte della mostra è certamente “Trasmission Tower: Sentinel” del 1992, un’installazione video a 8 canali, imponente opera video-scultorea presentata a Documenta 9 dove otto monitor sospesi fanno scorrere a cascata le immagini di un reading del 1988 del poeta Allen Ginsberg mentre legge una versione rivisitata della poesia “Hum Bom!” (1971); nei video scorre anche, come un’insinuante minaccia, una piccola immagine di George Bush mentre tiene il suo discorso di accettazione alla Convention Repubblicana del 1988. Molte, ma non troppe, le opera esposte all’Osservatorio, un numero limitato che consente una visita attenta e approfondita per un’artista qualche volta poco considerata, ma fondamentale per lo sviluppo della video-art ed originalissima fotografa fuori da ogni schema.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Dara Birnbaume i suoi “Atti rivoluzionari”

Definire Dara Birnbaum, una fotografa è certamente riduttivo, definirla una filmaker, anche; mi piacerebbe definirla una conservatrice di immagini, ma anche questa definizione non sarebbe esatta. Forse è una “turbatrice di immagini”. Ammetto che non si tratti di una bella definizione, ma credo si avvicini al modus operandi dell’artista statunitense, della quale l’Osservatorio Prada di Milano in Galleria a Milano offre, fino alla fine di settembre, una significativa mostra intitolata “Atti rivoluzionari”, curata da Brabara London con Valentino Catricalà ed Eva Fabbris, aperta fino al prossimo 25 settembre.

Nella fascinosissima sede dell’Osservatorio sono in visione una serie di video monocanale, audio, installazioni multicanale, fotografie e qualche stampa in 3D che danno bene l’idea della complessità concettuale che ha guidato l’artista dagli anni Settanta ad oggi. Se volessimo trovare, ed è molto difficile farlo, un filo conduttore dell’opera della Birnbaum, questo potrebbe essere ritrovato nel distacco del corpo dalla sua rappresentazione. Ciò avviene soprattutto attraverso la proposta di consuete e qualche volta ossessive, immagini televisive. È per esempio il caso di “Six Movements: Chaired Anxieties: Abandoned” del 1975, ispirato ad un video di Vito Acconci. Si tratta di meditazioni visive spesso di difficile interpretazione e di una voluta ambiguità, ma si tratta di immagini fondamentali per meditare sulla capacità/incapacità del mezzo televisivo verso la “comunicazione”.

Provocatorio e sanamente sconcertante, in un mondo, quello degli anni Ottanta, dove tutto vorrebbe essere il contrario, è “Pop-Pop Video: General Hospital/Olympic Women Speed Skating” del 1980, lavoro partorito durante una residenza artistica su influenza di una pellicola di Jean-Luc-Godard per la televisione. Immagini di pattinatrici olimpioniche che si avvicendano sulla pista tornando sempre alla linea di partenza, alternate a quelle di una soap-opera dove medico e paziente tentano di ricomporre un conflitto. Qui è la meditazione su quella che l’artista chiama il “trattamento televisivo”, ad essere scomposto ed analizzato. Guardando queste immagini la riflessione corre a ciò che siamo noi, meglio a ciò che siamo diventati dopo anni di “trattamenti televisivi”. La lente di ingrandimento “femminista” è più che evidente nei lavori della Birnbaum.

Esemplare in questo caso è “Damnation of Faust Trilogy” un’opera video sviluppata tra il 1983 e il 1987, una versione dell’opera ambientata a Soho (Nyc) tra famiglie di italiani e portoghesi, dove la conflittualità per l’affermazione della propria identità (anche sessuale), risulta particolarmente accesa. Del 1981 è il possente “New Music Short” video analogico impregnato delle atmosfere della scena post-punk newyorkese composto con riprese del concerto dei Radio Fire Fight al Mudd Club e con le immagini del compositore Glenn Branca che esegue lo sua inascoltabile “Symphony No. 1” al Performing Garage di Soho, piccolo teatro alternativo newyorkese di quegli anni. Tra le immagini della mostra anche un (doveroso) tributo alle “anime” con “Quiet Disaster” dove la Birnbaum mostra tre personaggi in pericolo, stampati su dischi di plexiglas che enfatizzano l’estrapolazione dei ritratti dai loro contesti originali, mettendo in mostra come l’operazione ne accentui isolamento e drammaticità iconica come accade alle immagini proposte dai media.

Ma il pezzo forte della mostra è certamente “Trasmission Tower: Sentinel” del 1992, un’installazione video a 8 canali, imponente opera video-scultorea presentata a Documenta 9 dove otto monitor sospesi fanno scorrere a cascata le immagini di un reading del 1988 del poeta Allen Ginsberg mentre legge una versione rivisitata della poesia “Hum Bom!” (1971); nei video scorre anche, come un’insinuante minaccia, una piccola immagine di George Bush mentre tiene il suo discorso di accettazione alla Convention Repubblicana del 1988. Molte, ma non troppe, le opera esposte all’Osservatorio, un numero limitato che consente una visita attenta e approfondita per un’artista qualche volta poco considerata, ma fondamentale per lo sviluppo della video-art ed originalissima fotografa fuori da ogni schema.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.