Dolce e Gabbana, dal cuore alle mani

Se c’è qualcosa che mi è del tutto indifferente, questa è la moda eppure, da anni, non perdo una mostra di uno stilista. Mi sembra, e sicuramente sbaglio, che la moda dia il suo meglio quando è “esposta”, quasi che, una volta indossata, perdesse molto del suo fascino. Dopo questa mia opinione balzana, non mi resta che farvi partecipi della grande emozione che attanaglia chiunque varchi la soglia del Palazzo Reale di Milano, per vedere “Dal cuore alle mani”, una sontuosa esposizione del lavoro di due mostri sacri della creatività italiana, ovvero Dolce & Gabbana, esposizione curata da Florence Müller che chiude i battenti proprio oggi. Naturalmente, è valsa la pena affrontare la terribile canicola estiva di una Milano poco attraente in questa stagione, per vedere una delle migliori mostre dell’anno (Biennale di Venezia e mostre parigine comprese).

Se il lavoro dei due stilisti non ha bisogno di presentazioni, l’allestimento volutamente affastellato e ridondante, barocco e strabordante voluto dalla curatrice che ha lavorato, naturalmente, a stretto contatto con Domenico Dolce e Stefano Gabbana, inghiotte il visitatore in una dimensione “altra” fatta di barocchismi oltre misura, magniloquenti atmosfere, trionfi di italianità.

La mostra è divisa in undici sezioni: la prima, intitolata “Fatto a mano”, celebra (e celebrare è l’unico verbo possibile da utilizzare qui), le ultime creazioni e contiene una bellissima finta quadreria, fatta però di quadri veri dipinti dagli stessi stilisti (soprattutto Stefano Gabbana) dove spicca una ironica parodia de “Le Dejuner sur l’herbe”. La seconda sezione è intitolata “L’arte e la maestria del vetro”, inno alla cristalleria e all’utilizzo di vetri e cristalli nelle creazioni. Si prosegue con “Il Gattopardo” con i modelli ispirati dalla celeberrima pellicola di Luchino Visconti, un omaggio forse più al film che alla Sicilia. “La devozione” è la successiva sezione che presenta creazioni, calzature, accessori profani inseriti in un contesto devozionale, che fa più riferimento al rito e al folclore che non alla religiosità, ma è ovvio che sia così per due dissacratori per antonomasia. Segue “La sartoria. Ornamenti e volumi” che è il rifacimento dell’atelier dei due stilisti. Sono sempre oltremodo affascinato da queste fucine della creatività (ne ho visitate molte Dior, Saint-Laurent, Elsa Schiaparelli, Azzedine Alaïa a Parigi, Valentino a Roma, Armani, Rick Owen, Antonio Marras a Milano), ma resto sempre morbosamente e feticisticamente irretito da quelle atmosfere, da quegli strumenti, dalle carte e dai cartamodelli (naturalmente la magnifica ricostruzione di Palazzo Reale non poteva fare eccezione).

Una delle sezioni più raffinate dell’intera mostra è senza ombra di dubbio “Vestire l’architettura e la pittura”con una lunga teoria di abiti che hanno per soggetto capolavori della pittura e dell’architettura italiane: pezzi di una incredibile ricercatezza del particolare e di una realizzazione impeccabile nell’esercizio barocco della citazione. Alla Sicilia, terra cui sono molto legati Dolce e Gabbana, è dedicata, la sezione “Le tradizioni siciliane”, forse tra tutte la più prevedibile, che dà l’impressione di essere un po’ messa lì come un negozio di souvenir (con frigoriferi e caffettiere griffati, ma un po’ privi di senso). A riscattare l’omaggio un po’ di maniera all’artigianato siciliano, ecco l’incanto quasi assoluto di “Il barocco bianco”, con un ampio ventaglio di citazioni dalla scultura all’architettura barocca, Bernini in testa. Poi “La divinità in sogno” che pesca direttamente nel pantheon greco-romano, ma con abiti e modelli pregni di citazioni bizantine e alto medievali. Non poteva mancare in questo vero e proprio excursus nella cultura artistica e visiva italiana una citazione, direi trionfale (se non proprio trionfalistica) per l’opera lirica e per il suo tempio sacro, ovvero il Teatro alla Scala, sezione che non si poteva chiamare in altro modo, che “L’Opera”. Il sottofondo sonoro, fatto di celebri romanze e note arie, non fa che rafforzare quell’effetto immersivo che pervade tutta la mostra (senza bisogno di grandi effetti speciali).

Si chiude con la quasi indispensabile citazione alla città che tutto questo ha reso possibile: “Nel cuore di Milano”, con un capo di raffinatezza imperiale, una madonnina laica e opulenta d’oro vestita alle cui spalle una gigantesca specchiera d’oro riflette anche noi visitatori, colti in quella espressione di stupefatta meraviglia che alberga sui volti di chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questa mostra. Per chi l’avesse persa, potrà sempre inseguirla per i musei d’Europa che la ospiteranno in una lunga tournée…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Dolce e Gabbana, dal cuore alle mani

Se c’è qualcosa che mi è del tutto indifferente, questa è la moda eppure, da anni, non perdo una mostra di uno stilista. Mi sembra, e sicuramente sbaglio, che la moda dia il suo meglio quando è “esposta”, quasi che, una volta indossata, perdesse molto del suo fascino. Dopo questa mia opinione balzana, non mi resta che farvi partecipi della grande emozione che attanaglia chiunque varchi la soglia del Palazzo Reale di Milano, per vedere “Dal cuore alle mani”, una sontuosa esposizione del lavoro di due mostri sacri della creatività italiana, ovvero Dolce & Gabbana, esposizione curata da Florence Müller che chiude i battenti proprio oggi. Naturalmente, è valsa la pena affrontare la terribile canicola estiva di una Milano poco attraente in questa stagione, per vedere una delle migliori mostre dell’anno (Biennale di Venezia e mostre parigine comprese).

Se il lavoro dei due stilisti non ha bisogno di presentazioni, l’allestimento volutamente affastellato e ridondante, barocco e strabordante voluto dalla curatrice che ha lavorato, naturalmente, a stretto contatto con Domenico Dolce e Stefano Gabbana, inghiotte il visitatore in una dimensione “altra” fatta di barocchismi oltre misura, magniloquenti atmosfere, trionfi di italianità.

La mostra è divisa in undici sezioni: la prima, intitolata “Fatto a mano”, celebra (e celebrare è l’unico verbo possibile da utilizzare qui), le ultime creazioni e contiene una bellissima finta quadreria, fatta però di quadri veri dipinti dagli stessi stilisti (soprattutto Stefano Gabbana) dove spicca una ironica parodia de “Le Dejuner sur l’herbe”. La seconda sezione è intitolata “L’arte e la maestria del vetro”, inno alla cristalleria e all’utilizzo di vetri e cristalli nelle creazioni. Si prosegue con “Il Gattopardo” con i modelli ispirati dalla celeberrima pellicola di Luchino Visconti, un omaggio forse più al film che alla Sicilia. “La devozione” è la successiva sezione che presenta creazioni, calzature, accessori profani inseriti in un contesto devozionale, che fa più riferimento al rito e al folclore che non alla religiosità, ma è ovvio che sia così per due dissacratori per antonomasia. Segue “La sartoria. Ornamenti e volumi” che è il rifacimento dell’atelier dei due stilisti. Sono sempre oltremodo affascinato da queste fucine della creatività (ne ho visitate molte Dior, Saint-Laurent, Elsa Schiaparelli, Azzedine Alaïa a Parigi, Valentino a Roma, Armani, Rick Owen, Antonio Marras a Milano), ma resto sempre morbosamente e feticisticamente irretito da quelle atmosfere, da quegli strumenti, dalle carte e dai cartamodelli (naturalmente la magnifica ricostruzione di Palazzo Reale non poteva fare eccezione).

Una delle sezioni più raffinate dell’intera mostra è senza ombra di dubbio “Vestire l’architettura e la pittura”con una lunga teoria di abiti che hanno per soggetto capolavori della pittura e dell’architettura italiane: pezzi di una incredibile ricercatezza del particolare e di una realizzazione impeccabile nell’esercizio barocco della citazione. Alla Sicilia, terra cui sono molto legati Dolce e Gabbana, è dedicata, la sezione “Le tradizioni siciliane”, forse tra tutte la più prevedibile, che dà l’impressione di essere un po’ messa lì come un negozio di souvenir (con frigoriferi e caffettiere griffati, ma un po’ privi di senso). A riscattare l’omaggio un po’ di maniera all’artigianato siciliano, ecco l’incanto quasi assoluto di “Il barocco bianco”, con un ampio ventaglio di citazioni dalla scultura all’architettura barocca, Bernini in testa. Poi “La divinità in sogno” che pesca direttamente nel pantheon greco-romano, ma con abiti e modelli pregni di citazioni bizantine e alto medievali. Non poteva mancare in questo vero e proprio excursus nella cultura artistica e visiva italiana una citazione, direi trionfale (se non proprio trionfalistica) per l’opera lirica e per il suo tempio sacro, ovvero il Teatro alla Scala, sezione che non si poteva chiamare in altro modo, che “L’Opera”. Il sottofondo sonoro, fatto di celebri romanze e note arie, non fa che rafforzare quell’effetto immersivo che pervade tutta la mostra (senza bisogno di grandi effetti speciali).

Si chiude con la quasi indispensabile citazione alla città che tutto questo ha reso possibile: “Nel cuore di Milano”, con un capo di raffinatezza imperiale, una madonnina laica e opulenta d’oro vestita alle cui spalle una gigantesca specchiera d’oro riflette anche noi visitatori, colti in quella espressione di stupefatta meraviglia che alberga sui volti di chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questa mostra. Per chi l’avesse persa, potrà sempre inseguirla per i musei d’Europa che la ospiteranno in una lunga tournée…

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.