Dalla rubrica Chez Mimich

Si può dire che il film di Frances O’Connor su Emily Brönte assomigli un po’ al capolavoro della scrittrice inglese in questione, ovvero “Cime tempestose”? Sì possiamo dirlo, ma possiamo anche considerare che “Cime tempestose”, se non è proprio un romanzo autobiografico, ci si avvicina parecchio. Come non paragonare l’amore tormentato dell’autrice con il pastore William Wieghtman con quello di Heathcliff per Catherine sul quale si struttura l’intero romanzo? Insomma quando si fa un film su una scrittrice che ha scritto un solo famosissimo romanzo imperniato su una vicenda semi-autobiografica, si va incontro ad una operazione piuttosto complessa. Bisogna ricordare che la regista-attrice Frances O’Connor, é stata a sua volta interprete del bel “Mansfield Park” di Patricia Rozema del 2019, dal romanzo di un altro mostro sacro della letteratura al femminile (ammesso che esista), Jane Austen. Insomma é tutto un gioco di rimandi e citazioni piuttosto evidente e nemmeno tanto paludato.

A queste osservazioni possiamo aggiungere il fatto che la O’Connor pesca a piene mani da tutto quel filone cinematografico degli ultimi anni, che va da film come “Piccole donne” di Greta Gerwig, fino allo stesso “Cime tempestose” di Andrea Arnauld. Certo che vivere in età vittoriana nella parrocchia di Haworth (Yorkshire), ha indubbiamente favorito le qualità di riflessione di Emily Brönte, per altro sempre in gara con l’altra scrittrice di famiglia, la sorella Charlotte. Del resto anche Kant poté scrivere la sua “Critica della ragion pura” proprio perché abitava a Köningsberg, come ricordava il mio professore d’università, Mario Dal Pra. Divagazioni a parte, un po’ del merito della personalità della scrittrice va anche riconosciuto al di lei fratello, Branwell, scapestrato e scapigliato artista mancato che insuffla nella giovane Emily, il desiderio di essere uno spirito libero, oltre ad averla sempre incoraggiata verso la scrittura. Come prevedibilmente accade, l’amore tra Emily e il giovane pastore finisce male, anzi malissimo, con l’allontanamento del religioso dalla gretta e bigotta comunità di Haworth, e sarà proprio il dono della scrittura a risarcire, in qualche modo, Emily di questa grave perdita.

Film ben fatto, misurato, con una bella fotografia, una accattivante colonna sonora, ottimi interpreti. Ora però il filone “Mansfield-park-piccolo-mondo-antico” potrebbe anche dirsi esaurito, prima che si esauriscano anche gli spettatori.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Si può dire che il film di Frances O’Connor su Emily Brönte assomigli un po’ al capolavoro della scrittrice inglese in questione, ovvero “Cime tempestose”? Sì possiamo dirlo, ma possiamo anche considerare che “Cime tempestose”, se non è proprio un romanzo autobiografico, ci si avvicina parecchio. Come non paragonare l’amore tormentato dell’autrice con il pastore William Wieghtman con quello di Heathcliff per Catherine sul quale si struttura l’intero romanzo? Insomma quando si fa un film su una scrittrice che ha scritto un solo famosissimo romanzo imperniato su una vicenda semi-autobiografica, si va incontro ad una operazione piuttosto complessa. Bisogna ricordare che la regista-attrice Frances O’Connor, é stata a sua volta interprete del bel “Mansfield Park” di Patricia Rozema del 2019, dal romanzo di un altro mostro sacro della letteratura al femminile (ammesso che esista), Jane Austen. Insomma é tutto un gioco di rimandi e citazioni piuttosto evidente e nemmeno tanto paludato.

A queste osservazioni possiamo aggiungere il fatto che la O’Connor pesca a piene mani da tutto quel filone cinematografico degli ultimi anni, che va da film come “Piccole donne” di Greta Gerwig, fino allo stesso “Cime tempestose” di Andrea Arnauld. Certo che vivere in età vittoriana nella parrocchia di Haworth (Yorkshire), ha indubbiamente favorito le qualità di riflessione di Emily Brönte, per altro sempre in gara con l’altra scrittrice di famiglia, la sorella Charlotte. Del resto anche Kant poté scrivere la sua “Critica della ragion pura” proprio perché abitava a Köningsberg, come ricordava il mio professore d’università, Mario Dal Pra. Divagazioni a parte, un po’ del merito della personalità della scrittrice va anche riconosciuto al di lei fratello, Branwell, scapestrato e scapigliato artista mancato che insuffla nella giovane Emily, il desiderio di essere uno spirito libero, oltre ad averla sempre incoraggiata verso la scrittura. Come prevedibilmente accade, l’amore tra Emily e il giovane pastore finisce male, anzi malissimo, con l’allontanamento del religioso dalla gretta e bigotta comunità di Haworth, e sarà proprio il dono della scrittura a risarcire, in qualche modo, Emily di questa grave perdita.

Film ben fatto, misurato, con una bella fotografia, una accattivante colonna sonora, ottimi interpreti. Ora però il filone “Mansfield-park-piccolo-mondo-antico” potrebbe anche dirsi esaurito, prima che si esauriscano anche gli spettatori.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.