“Finale a sorpresa” di Mariano Cohn e Gastòn Duprat è un metafilm, un film su di un film. A Lola Cuevas, regista eccentrica interpretata da Penelope Cruz, viene affidata la regia di un film che un miliardario, un po’ megalomane, decide di produrre per essere ricordato dai posteri. La regista scrittura allora due grandi attori, Felix Rivero (interpretato da Antonio Banderas), cliché dell’attore frivolo, con una autostima traboccante e Ivan Torres (interpretato da Oscar Martinez), prototipo dell’attore “impegnato” che considera la professione un po’ come una missione. Prima dell’inizio delle riprese, la regista sottopone i due attori ad una serie di prove di lettura del copione, di recitazione, caratteriali ed anche psicologiche, dalle quali emerge subito un evidente spirito di competizione tra i due attori, competizione che si trasforma in un finale comico-drammatico, dopo la morte quasi accidentale di Ivan Torres.

Naturalmente il film (intendo dire il film oggetto del film), viene premiato e Felix Riviero, dopo la morte del suo “competitor”, sembra averne assorbito la personalità oltre ad aver ottenuto un esclusivo tributo per l’interpretazione. Non è una novità che il cinema voglia parlare del cinema, lo hanno fatto tanti registi e lo hanno fatto anche con dialettici dubbi esistenziali, come Wim Wenders in “Lo Stato delle cose”, con soave leggerezza come Woody Allen in “Rifkin’s Festival” o con un afflato di poesia assoluta come François Truffault in “Effetto Notte”. Ma la lista completa potrebbe essere assai più lunga e comprendere tanti capolavori da “Otto e mezzo” di Fellini, indietro fino al geniale “L’uomo con la macchina da presa” di Vertov.

È difficile, molto difficile, nel cinema cavar fuori qualcosa di nuovo. Cosa aggiunge “Finale a sorpresa” a questa lunga teoria di film? Potremmo rispondere niente, ma non sarebbe del tutto vero, poiché il taglio del racconto per “spot”, quasi che le sequenze fossero degli happening artistici, l’ironia che sfocia spesso in una sana comicità, la scenografia (gli algidi ambienti del Teatro de San Lorenzo de El Escorial), fanno di “Finale a sorpresa” un film più che gradevole e di buona fattura. Certo se dall’oscuro lavoro dei due registi argentini (è questo il loro terzo film), ci si aspettava il capolavoro, temo occorrerà aspettare ancora un po’, ma il film vale ampiamente il prezzo del biglietto (meno la sala dell’Araldo di Novara).

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Finale a sorpresa

“Finale a sorpresa” di Mariano Cohn e Gastòn Duprat è un metafilm, un film su di un film. A Lola Cuevas, regista eccentrica interpretata da Penelope Cruz, viene affidata la regia di un film che un miliardario, un po’ megalomane, decide di produrre per essere ricordato dai posteri. La regista scrittura allora due grandi attori, Felix Rivero (interpretato da Antonio Banderas), cliché dell’attore frivolo, con una autostima traboccante e Ivan Torres (interpretato da Oscar Martinez), prototipo dell’attore “impegnato” che considera la professione un po’ come una missione. Prima dell’inizio delle riprese, la regista sottopone i due attori ad una serie di prove di lettura del copione, di recitazione, caratteriali ed anche psicologiche, dalle quali emerge subito un evidente spirito di competizione tra i due attori, competizione che si trasforma in un finale comico-drammatico, dopo la morte quasi accidentale di Ivan Torres.

Naturalmente il film (intendo dire il film oggetto del film), viene premiato e Felix Riviero, dopo la morte del suo “competitor”, sembra averne assorbito la personalità oltre ad aver ottenuto un esclusivo tributo per l’interpretazione. Non è una novità che il cinema voglia parlare del cinema, lo hanno fatto tanti registi e lo hanno fatto anche con dialettici dubbi esistenziali, come Wim Wenders in “Lo Stato delle cose”, con soave leggerezza come Woody Allen in “Rifkin’s Festival” o con un afflato di poesia assoluta come François Truffault in “Effetto Notte”. Ma la lista completa potrebbe essere assai più lunga e comprendere tanti capolavori da “Otto e mezzo” di Fellini, indietro fino al geniale “L’uomo con la macchina da presa” di Vertov.

È difficile, molto difficile, nel cinema cavar fuori qualcosa di nuovo. Cosa aggiunge “Finale a sorpresa” a questa lunga teoria di film? Potremmo rispondere niente, ma non sarebbe del tutto vero, poiché il taglio del racconto per “spot”, quasi che le sequenze fossero degli happening artistici, l’ironia che sfocia spesso in una sana comicità, la scenografia (gli algidi ambienti del Teatro de San Lorenzo de El Escorial), fanno di “Finale a sorpresa” un film più che gradevole e di buona fattura. Certo se dall’oscuro lavoro dei due registi argentini (è questo il loro terzo film), ci si aspettava il capolavoro, temo occorrerà aspettare ancora un po’, ma il film vale ampiamente il prezzo del biglietto (meno la sala dell’Araldo di Novara).

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.