In questi mesi, ma anche guardando ad un lasso di tempo più ampio, come gli ultimi due o tre anni, capita di imbattersi in film, concerti, libri, mostre, le cui tematiche ruotano attorno a grandi temi politici, ed uso “politico” naturalmente nella sua accezione più nobile. È evidente che attorno al filone delle migrazioni, della censura politica, delle ineguaglianze e dell’ecologia si stia concentrando la produzione culturale di mezzo mondo. Ma è altrettanto evidente, e gli ultimi fatti lo insegnano, che tutto questo non è ancora abbastanza per risvegliare le coscienze, tutte le coscienze.
È in questa direzione che va il magnifico film d’animazione “Flee” diretto da Jonas Poher Rasmussen e candidato a tre Oscar (miglior animazione, miglior film straniero e miglior film), che racconta la storia di Amin Nawabi, giovane accademico danese, costretto a vivere con la presenza del terribile ricordo della sua fuga dall’Afghanistan, in preda alla guerra civile, dopo la ritirata dei russi che lo avevano invaso (tanto per cambiare).
Ma “Flee” è anche la storia dell’incontro dello stesso regista Jonas Poher Rasmussen con quel ragazzo in fuga, incontro che avviene sul treno che portava a scuola i due adolescenti, che diventeranno poi conviventi. Con Amin fuggono dall’Afghanistan la madre e un fratello e che, in preda a trafficanti senza scrupoli finiscono in Danimarca ,dopo essere rimandati in un primo tempo a Mosca. Alla tematica della migrazione si somma quella di una omosessualità mai manifestata apertamente, ma che verrà poi accolta di buon grado dalla famiglia. L’efficacia del disegno animato, usando un termine un po’ di comodo, di raccontare vicende altamente drammatiche, è sorprendente. Il film di Rasmussen è un vero colpo allo stomaco per intensità del racconto e per la capacità di generare angoscia nello spettatore. Un segno semplice, apparentemente ingenuo nella narrazione visiva, ma anche crudo, metallico e feroce nei frangenti drammatici e sottilmente metafisico nella evocazione del ricordo. A questo si aggiunga un dialogo asciutto ed essenziale, capace di ricostruire tutte le sottili sfumature psicologiche dei protagonisti.
Quando un disegnatore, con pochi tratti sa far parlare gli sguardi e con una animazione “basica” sa creare atmosfere, allora siamo in presenza di un artista. Ho notato, non con sorpresa, ma con un certo sollievo, la presenza in sala di bambini, benché questo non sia certo un film pensato per il pubblico più giovane.
Il disegno animato può essere un efficacissimo mezzo per raccontare il reale ai bambini, forse anche per raccontarlo agli adulti, grazie alla capacità del segno grafico di essere al contempo astrazione simbolica e descrizione mimetica del reale e proprio per questa sua caratteristica unitamente all’estraniamento, il contrario della immedesimazione propria del cinema, che fa del cinema d’animazione uno straordinario strumento di riflessione non solo estetica. Non abbiate alcun dubbio sulle capacità narrative di questo genere cinematografico, né tanto meno potrete averne su “Flee”.
Una risposta
Ottima descrizione caro Mario, meriteresti testate nazionali. Manca in giro una figura critica mossa dalla passione e non da altri interessi