Non è mai facile trasporre un’opera di narrativa in un copione teatrale, qualche volta non è nemmeno legittimo farlo. È ancora più difficile farlo con un testo di Calvino e, difficilissimo, se il testo è conosciuto e riconosciuto come “Il barone rampante”. Ci ha provato il regista Riccardo Frati che lo ha portato in scena con il Piccolo al Teatro Grassi nella scorsa stagione teatrale e lo ripropone, all’inizio di questa, sempre nella stessa sede. Uno spettacolo all’altezza delle aspettative e della grande tradizione del più celebre teatro milanese.

Come è noto la vicenda ha inizio con il rifiuto di mangiare un piatto di lumache, rifiuto che il baroncino Cosimo Piovasco di Rondò oppone ai genitori e in particolare alla militaresca madre. In seguito a ciò, per ripicca, Cosimo si rifugia sugli alberi della tenuta e si rifiuta di scendere. Siamo nel 1767, in pieno Illuminismo e in un regno immaginario, da quel momento il barone Cosimo vivrà sugli alberi come narrato dal di lui fratello Biagio. Cosa ci fa veramente il barone sugli alberi? Difficile da dirsi con precisione e la risposta non è così scontata, poiché gli alberi e la foresta non sono propriamente la lanterna di Diogene. E’ qualcosa di più complesso, quantomeno di più articolato. La spiegazione meno problematica è quella che Biagio dà a Voltaire (sì, proprio lui, il grande filosofo illuminista) che chiede : “Ma vostro fratello sta lassù per avvicinarsi al cielo?” Biagio risponde: “Mio fratello sostiene che chi vuole guardare bene la Terra deve tenersi alla distanza necessaria…” Ma questo suo isolamento dal mondo terreno non deve proprio essere letto come il ritiro dell’intellettuale sulla sua eburnea torre.

Al contrario, Cosimo Piovasco di Rondò, ha molto di più i tratti di un “militante”. Ne dà ampia dimostrazione quando durante un incendio del bosco, il barone invoca l’intervento di un altro personaggio del romanzo (e della pièce teatrale), quel Cavaliere Avvocato Enea Silvio Carrega, turcomanno e grande esperto di idraulica, che da tempo progetta un sistema di canalizzazioni e dighe, in grado di irrigare i terreni agricoli e salvare le foreste dalla siccità.

La descrizione che Biagio fa delle foglie dei diversi alberi che, con un azzeccato artifizio scenico scorrono sulla scena come antiche lastre fotografiche, sembrano uscire da una lezione sulla tribù degli alberi del Professor Stefano Mancuso, arboricoltore ed ecologista. Diavolo d’un Calvino! In un testo del 1957 aveva già pensato alla vita delle piante, alla siccità e al problema ambientale. E questa coscienza paleo-ambientalista non sembra casuale, anche in considerazione del fatto che nello stesso anno Calvino dà alle stampe un altro testo di scottante attualità (allora come adesso), ovvero “La speculazione edilizia”. Coincidenze o preveggenza a dir poco strabilianti? Insomma il barone rampante è un contestatore che interagisce con la società che lo circonda proprio grazie al suo isolamento.

Questo isolamento non influenzerà nemmeno i rapporti sentimentali: la sua relazione con Viola, anch’essa di nobili origini, è reso possibile proprio grazie a quel rifugio su un ramo che sconfina nella vicina proprietà. Dopo tante vicende vissute il barone calviniano, com’è noto, scomparirà trasportato in volo dall’àncora di una mongolfiera. Lo spettacolo messo in scena al Teatro Grassi è certamente di quelli che non si dimenticano, oltre che per la brillante trasposizione del testo narrativo, anche per una regia minuziosa, attenta al testo e per la messa in scena raffinata e molto spettacolare che Riccardo Frati “lascia parlare”, magari con un tocco di compiacimento, ma sempre con grande efficacia.

E’ evidente il tributo che Frati paga alle grandi macchine teatrali di Luca Ronconi. Inoltre è anche curioso notare che un’altra grande messa in scena della passata stagione aveva come scenografia principale un intreccio di rami, quelli che Margherita Palli ideò per “Romeo & Giulietta” di Will Shakespeare. Insomma “Il Barone rampante” calviniano si scopre essere di grande attualità, anche grazie alla magia teatrale cui ha dato vita Riccardo Frati e alle scene di Guia Buzzi.

La magia del “Piccolo” sembra non avere mai fine…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Il barone rampante

Non è mai facile trasporre un’opera di narrativa in un copione teatrale, qualche volta non è nemmeno legittimo farlo. È ancora più difficile farlo con un testo di Calvino e, difficilissimo, se il testo è conosciuto e riconosciuto come “Il barone rampante”. Ci ha provato il regista Riccardo Frati che lo ha portato in scena con il Piccolo al Teatro Grassi nella scorsa stagione teatrale e lo ripropone, all’inizio di questa, sempre nella stessa sede. Uno spettacolo all’altezza delle aspettative e della grande tradizione del più celebre teatro milanese.

Come è noto la vicenda ha inizio con il rifiuto di mangiare un piatto di lumache, rifiuto che il baroncino Cosimo Piovasco di Rondò oppone ai genitori e in particolare alla militaresca madre. In seguito a ciò, per ripicca, Cosimo si rifugia sugli alberi della tenuta e si rifiuta di scendere. Siamo nel 1767, in pieno Illuminismo e in un regno immaginario, da quel momento il barone Cosimo vivrà sugli alberi come narrato dal di lui fratello Biagio. Cosa ci fa veramente il barone sugli alberi? Difficile da dirsi con precisione e la risposta non è così scontata, poiché gli alberi e la foresta non sono propriamente la lanterna di Diogene. E’ qualcosa di più complesso, quantomeno di più articolato. La spiegazione meno problematica è quella che Biagio dà a Voltaire (sì, proprio lui, il grande filosofo illuminista) che chiede : “Ma vostro fratello sta lassù per avvicinarsi al cielo?” Biagio risponde: “Mio fratello sostiene che chi vuole guardare bene la Terra deve tenersi alla distanza necessaria…” Ma questo suo isolamento dal mondo terreno non deve proprio essere letto come il ritiro dell’intellettuale sulla sua eburnea torre.

Al contrario, Cosimo Piovasco di Rondò, ha molto di più i tratti di un “militante”. Ne dà ampia dimostrazione quando durante un incendio del bosco, il barone invoca l’intervento di un altro personaggio del romanzo (e della pièce teatrale), quel Cavaliere Avvocato Enea Silvio Carrega, turcomanno e grande esperto di idraulica, che da tempo progetta un sistema di canalizzazioni e dighe, in grado di irrigare i terreni agricoli e salvare le foreste dalla siccità.

La descrizione che Biagio fa delle foglie dei diversi alberi che, con un azzeccato artifizio scenico scorrono sulla scena come antiche lastre fotografiche, sembrano uscire da una lezione sulla tribù degli alberi del Professor Stefano Mancuso, arboricoltore ed ecologista. Diavolo d’un Calvino! In un testo del 1957 aveva già pensato alla vita delle piante, alla siccità e al problema ambientale. E questa coscienza paleo-ambientalista non sembra casuale, anche in considerazione del fatto che nello stesso anno Calvino dà alle stampe un altro testo di scottante attualità (allora come adesso), ovvero “La speculazione edilizia”. Coincidenze o preveggenza a dir poco strabilianti? Insomma il barone rampante è un contestatore che interagisce con la società che lo circonda proprio grazie al suo isolamento.

Questo isolamento non influenzerà nemmeno i rapporti sentimentali: la sua relazione con Viola, anch’essa di nobili origini, è reso possibile proprio grazie a quel rifugio su un ramo che sconfina nella vicina proprietà. Dopo tante vicende vissute il barone calviniano, com’è noto, scomparirà trasportato in volo dall’àncora di una mongolfiera. Lo spettacolo messo in scena al Teatro Grassi è certamente di quelli che non si dimenticano, oltre che per la brillante trasposizione del testo narrativo, anche per una regia minuziosa, attenta al testo e per la messa in scena raffinata e molto spettacolare che Riccardo Frati “lascia parlare”, magari con un tocco di compiacimento, ma sempre con grande efficacia.

E’ evidente il tributo che Frati paga alle grandi macchine teatrali di Luca Ronconi. Inoltre è anche curioso notare che un’altra grande messa in scena della passata stagione aveva come scenografia principale un intreccio di rami, quelli che Margherita Palli ideò per “Romeo & Giulietta” di Will Shakespeare. Insomma “Il Barone rampante” calviniano si scopre essere di grande attualità, anche grazie alla magia teatrale cui ha dato vita Riccardo Frati e alle scene di Guia Buzzi.

La magia del “Piccolo” sembra non avere mai fine…

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.