Ho sempre amato i film sul lavoro. Non ce ne sono molti, ma ci sono. Forse all’epoca di Elio Petri ce n’erano di più, oggi a parlare cinematograficamente del lavoro sembra ci sia rimasto solo Ken Loach. Nella narrazione cinematografica attirano di più di più avventurieri problematici, trasgender da palcoscenico, medici in prima linea, poliziotti-bambocci, ecc. ecc. Insomma da una parte, al cinema va di gran moda “l’eroe dei nostri giorni” (per prendere a prestito il titolo di un romanzo di Vasco Pratolini), dall’altra supereroi e guerre inter-stellari. E così accolgo con grande piacere questo film di produzione spagnola, candidato all’Oscar (auguri), dal titolo “Il capo perfetto” di Fernando León de Aranoa.
Questa volta a differenza dei tanti anti-eroi raccontati da Loach, qui siamo in presenza di un film che racconta la vicenda umana e professionale di un imprenditore, un capo, di un “padrone” come non avrebbe esitato a chiamarlo Elio Petri. La Blanco Básculas è una piccola fabbrica spagnola di bilance e il signor Blanco la dirige con spirito paternalista. León de Aranoa sceglie di raccontare una settimana importante per la vita aziendale, quella in cui si attende la visita di una commissione incaricata di assegnare un importante riconoscimento alla Blanco Básculas, in concorso con altre aziende della regione.
Blanco, interpretato da un credibilissimo Javier Bardem, vive per l’azienda che considera la sua famiglia e cerca di oliare alla perfezione, oltre che i meccanismi della produzione di bilance, anche i rapporti interpersonali. Naturalmente, gli imprevisti non mancano (altrimenti non se ne sarebbe fatto un film); gli imprevisti, sono di origine aziendale, come il necessario licenziamento di un lavoratore che per protesta deciderà di “picchettare” (oddio, che termine d’altri tempi…) i cancelli della fabbrica, di origine sociale, come l’attrito tra “etnie” (per usare un termine ormai politicamente scorretto), e di origine sessuale, visto che il signor Blanco pensa bene di intrallazzarsi con una giovane stagista. Insomma, tutto come nella realtà.
Se la vicenda risulta avere un suo lato divertente e corre via liscia, gli interrogativi che suscita, sono profondi. È possibile dirigere una azienda come fosse una famiglia? Quanto possono interferire le relazioni interpersonali con il lavoro? È definitivamente tramontato il concetto di lotta di classe? Sono domande che possono sembrare troppo impegnative per un film all’apparenza leggero, ma in realtà del tutto legittime ed impellenti, poiché il film di Fernando León de Aranoa è tutt’altro che superficiale.
Chissà che il cinema non torni ad interrogarsi sul mondo del lavoro e lasci perdere, almeno per un po’, mondi lontani ed improbabilissime avventure.