Non ho capito perché, nell’ultima scena del film di Marie Kreutzer, Sissi si getti dal ponte di una nave in partenza dal porto di Ancona. La scena induce certamente lo spettatore a pensare ad un suicidio, mentre Elisabetta d’Austria, universalmente nota come Sissi, fu assassinata da un anarchico in Svizzera. È con questo dubbio irrisolto che vorrei fare qualche considerazione su “Il corsetto dell’Imperatrice”, il bel film di Marie Kreutzer, con Vicky Krieps nella parte di Sissi, uscito qualche giorno fa nelle sale italiane. Il film non è certo il capolavoro, enunciato con un po’ di generosità a fini commerciali dalle locandine e dai trailer, ma si tratta comunque di un film di grande qualità e soprattutto di una certa originalità. È noto che Sissi fu una imperatrice di nome ma non di fatto, ed è questa la tesi da cui discende tutto lo sviluppo della narrazione cinematografica.
Sissi era nata sotto Saturno, come diceva Rudolph Wittkower dei grandi artisti dominati dall’inquietudine e dalla sregolatezza. Solo che Sissi non è stata una grande artista, ma certamente una grande irrequieta, bizzarra, maniacalmente dedita alla conservazione del proprio corpo-reliquia per cercare di sottrarlo all’inesorabile trascorrere del tempo. Elisabetta di Baviera, fu una imperatrice senza impero, o meglio, l’impero c’era, ma era un affare da uomini e nella fattispecie dell’Imperatore Francesco Giuseppe. L’ossessione per la forma fisica, rappresentata anche dall’allusione del titolo, è ben raccontata dalla Kreutzer, così come di raffinata bellezza sono gli incontri fedigrafi di Sissi con uno stalliere e con Ludovico di Baviera. Animo sensibile, spesso in viaggio, per evitare i riti della corte, Sissi, preoccupata principalmente da sé stessa, è però anche incomprensibilmente compassionevole verso i sofferenti.
Piena di “realismo magico” la visita di Sissi ai malati di mente, presumibilmente in quello “Steinhof” alla periferia di Vienna reso famoso dalla architettura di Otto Wagner, in quella “Vienna Felix”, che poi, come si vede, tanto felice non era. Naturalmente, ad una narrazione scandita da un certo rigore formale, si accompagna una ricercata fotografia e una colonna sonora dissonante e anacronistica (in un senso non dispregiativo, ma letterale del termine), opera della francese Camille che non esita a piazzare, tra altre canzoni, “As Tears Go By” dei Rolling Stones. Uscito per le imminenti feste natalizie, per fortuna, il film sembra lontano da ammiccamenti puramente commerciali.