Il signore delle formiche

“Il signore delle formiche” in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, è l’ultimo film di Gianni Amelio, liberamente tratto da una oscura vicenda italiana. È inutile nascondere che il titolo “Il signore delle formiche” è vagamente fuorviante, quantomeno rispetto al vero tema trattato, e il pensiero (almeno quello di chi scrive), corre immediatamente a un altro grande film, “Il signore delle mosche” diretto da Peter Brook e tratto dal romanzo di William Golding. Invece, come si è detto il film di Gianni Amelio, tratta di tutt’altra questione e le formiche sono solo il passatempo scientifico-sociologico di Aldo Braibanti, mirmecologo un po’ per diletto, drammaturgo e poeta italiano, a dire il vero non molto considerato, che nel 1965 venne accusato di aver plagiato e sottomesso sessualmente un allievo, Ettore (per altro maggiorenne e consenziente)

. Quel che colpisce (almeno colpisce me), è che i fatti non risalgono alla notte dei tempi, ma alla metà degli anni Sessanta, quando io andavo a scuola e poco prima che l’uomo mettesse piede sulla luna. Il racconto cinematografico ha, sul tema omofobico, un po’ lo stesso impatto che ebbe “Green Book” su quello razzista: sono fatti impensabili avvenuti nel tempo della gioventù di molti di noi e non in remoti ed oscuri secoli passati. A cercare di difendere il malcapitato Braibanti solo un coraggioso giornalista, Ennio Scribani de “L’Unità” allora organo del Partito Comunista Italiano che tuttavia, qualche imbarazzo verso la “pederastia”, come allora comunemente veniva chiamata l’omosessualità, lo nutriva e lo dimostrò con l’allontanamento del giornalista dal quotidiano, se non caldeggiato, quanto meno non ostacolato dall’allora direttore Maurizio Ferrara.

Va detto tuttavia e purtroppo nel film non se ne fa cenno, che il giornale comunista qualche anno dopo, nel 1968, difese a spada tratta Braibanti dalla infamanti accuse che gli mosse la giustizia italiana modellata sul Codice Rocco. Il film di Gianni Amelio è crudo e raffinato al tempo stesso, con una fotografia quasi bertolucciana costruito su ritmi pacati pur nella convulsione degli accadimenti.

È il classico film che vuole tentare di scuotere le coscienze e che smuove i sentimenti, sia per la palese ingiustizia subita dalle vittime (ricordiamo che anche Ettore magistralmente interpretato dall’esordiente Leonardo Maltese, viene considerato un malato psichico e sottoposto all’elettroshock), sia per la tenerezza e la compassione che suscita nei confronti della coppia. Da vedere? Naturalmente da vedere per poetica e messaggio, ma soprattutto da non dimenticare troppo in fretta.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Il signore delle formiche

“Il signore delle formiche” in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, è l’ultimo film di Gianni Amelio, liberamente tratto da una oscura vicenda italiana. È inutile nascondere che il titolo “Il signore delle formiche” è vagamente fuorviante, quantomeno rispetto al vero tema trattato, e il pensiero (almeno quello di chi scrive), corre immediatamente a un altro grande film, “Il signore delle mosche” diretto da Peter Brook e tratto dal romanzo di William Golding. Invece, come si è detto il film di Gianni Amelio, tratta di tutt’altra questione e le formiche sono solo il passatempo scientifico-sociologico di Aldo Braibanti, mirmecologo un po’ per diletto, drammaturgo e poeta italiano, a dire il vero non molto considerato, che nel 1965 venne accusato di aver plagiato e sottomesso sessualmente un allievo, Ettore (per altro maggiorenne e consenziente)

. Quel che colpisce (almeno colpisce me), è che i fatti non risalgono alla notte dei tempi, ma alla metà degli anni Sessanta, quando io andavo a scuola e poco prima che l’uomo mettesse piede sulla luna. Il racconto cinematografico ha, sul tema omofobico, un po’ lo stesso impatto che ebbe “Green Book” su quello razzista: sono fatti impensabili avvenuti nel tempo della gioventù di molti di noi e non in remoti ed oscuri secoli passati. A cercare di difendere il malcapitato Braibanti solo un coraggioso giornalista, Ennio Scribani de “L’Unità” allora organo del Partito Comunista Italiano che tuttavia, qualche imbarazzo verso la “pederastia”, come allora comunemente veniva chiamata l’omosessualità, lo nutriva e lo dimostrò con l’allontanamento del giornalista dal quotidiano, se non caldeggiato, quanto meno non ostacolato dall’allora direttore Maurizio Ferrara.

Va detto tuttavia e purtroppo nel film non se ne fa cenno, che il giornale comunista qualche anno dopo, nel 1968, difese a spada tratta Braibanti dalla infamanti accuse che gli mosse la giustizia italiana modellata sul Codice Rocco. Il film di Gianni Amelio è crudo e raffinato al tempo stesso, con una fotografia quasi bertolucciana costruito su ritmi pacati pur nella convulsione degli accadimenti.

È il classico film che vuole tentare di scuotere le coscienze e che smuove i sentimenti, sia per la palese ingiustizia subita dalle vittime (ricordiamo che anche Ettore magistralmente interpretato dall’esordiente Leonardo Maltese, viene considerato un malato psichico e sottoposto all’elettroshock), sia per la tenerezza e la compassione che suscita nei confronti della coppia. Da vedere? Naturalmente da vedere per poetica e messaggio, ma soprattutto da non dimenticare troppo in fretta.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.