“Man in the boat” di Ron Mueck e “Real World” di Alex Cerveny, sono certamente tra le opere d’arte contemporanea che tra la scorsa primavera e l’inizio dell’autunno hanno suscitato in me le maggiori emozioni. Naturalmente non le uniche visto che, nella consueta parentesi parigina di fine estate, ho avuto modo di turbarmi, e non poco, con “Echo2” di Philippe Parreno, al centro della Rotonde della Bourse de Commerce (purtroppo mi sono colpevolmente perso “Storia della notte e destino delle comete”di Gian Maria Tosatti nel Padiglione Italia alla biennale veneziana, ma non si ha quasi mai tempo per tutto). Certamente si tratta di umori e riflessioni molto diverse, ma per chi scrive, di sicuro queste sono le tre opere d’arte più suggestive di questo 2022.
Chi volesse condividere questo mio godimento estetico/estatico, ha ancora tempo fino all’undici dicembre per lasciarsi inquietare da “Man in the Boat” e da “Real World”, esposte entrambe, nella magnifica mostra intitolata appunto “Mondo Reale” realizzata, non per caso direi, con la parigina Fondation Cartier, nell’ambito della XXIII Esposizione della Triennale di Milano, intitolata “Unknow Unknows”. “Man in the Boat” è costituita da una barca in legno, alla cui prua è assisa una delle solite figure “fuori scala” di Ron Mueck. Si tratta di un uomo nudo, con le braccia conserte e leggermente inclinato di lato, con lo sguardo concentrato sul nulla. La figura iperrealista è, come sempre, messa in relazione problematica con ciò che la circonda e, come nessuna altra opera della grande esposizione milanese, riesce a suscitare nello spettatore quel “timor panico”, pur nell’attuale apparente indifferenza dell’uomo, che ha caratterizzato per secoli il rapporto uomo-natura.
Se si volesse azzardare qualche similitudine concettuale, forse occorrerebbe risalire al “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar Friedrich o magari, per rifarsi a qualcosa di più recente, a “Die Deutsche Heilslinie”, grande tela di Anselm Kiefer del 2013 esposta all’Hangar Pirelli Bicocca. Qui, naturalmente, è completamente mutato il rapporto con la natura, poiché il turbamento (o la rassegnata indifferenza), è data non già dalla deriva dell’imbarcazione, ma dalla deriva concettuale di ciò che l’imbarcazione circonda, “l’environnement” come direbbero i francesi, ossia il nostro ambiente naturale e il suo incombente e probabilmente funesto destino.
Lungi dall’essere un’opera “ecologista”, “Men in the Boat” è un’opera di grande spessore esistenziale, non certo manichea, ma fortemente dialettica. L’uomo di Mueck, a differenza del sognatore Aguirre di herzoghiana memoria, sembra in preda ad una meditabonda riflessione sull’ineluttabile e tragica stupidità del genere umano. La seconda opera che vi propongo è di tutt’altro genere: si tratta di una grande tela di Alex Ceverny, artista brasiliano, una sorta di mitopoiesi della presenza umana sulla terra, raccontata con una pittura descrittiva fatta di riferimenti biblici, mitologici, autobiografici e di cultura pop, una pittura che guarda in maniera strabica sia all’iconografia degli ex-voto che alla pittura rupestre, passate attraverso la grande suggestione della visionarietà descrittiva della pittura paesaggistica, come quella ispirata da Ignazio Danti per la Galleria delle Carte geografiche in Vaticano. Insomma, qui l’ambiente non è fosco e pieno di turbamenti come quello evocato dal navigatore solitario (forse un naufrago) di Mueck, ma molto più vicino alla gioia della scoperta geografica e della descrizione della “mitologia umana”, se mi si passa l’ossimoro. Regalatevi una passeggiata a Milano prima che sia troppo tardi (e non solo perché “Unkonw Unknows” chiude l’undici dicembre)…