Luciano Rossetti: vent’anni di Novara Jazz e altri Scatti

«Ci sono uomini e donne che piantano semi, che mettono in moto emozioni, stati d’animo, comunicazione, che aprono strade e potrebbero abbattere montagne. Che fanno venir voglia di muoversi e darsi da fare, e di viverla fino in fondo e pienamente, questa vita. Uomini e donne che fanno musica come altri fanno il pane. E ci sono uomini e donne, che quelle cose ce le fanno vedere come non avremmo saputo fare da soli, ne mettono in evidenza particolari rivelatori, cambiano la prospettiva, la aprono, fanno luce. Letteralmente disvelano. Luciano Rossetti, fotografo, è uno di questi uomini».

Questa sono le parole che Pino Saulo di Radio Tre ha usato per introdurre una recente mostra fotografica di Luciano Rossetti. Lo stretto legame tra jazz e fotografia, molto più stretto di quello che potrebbe intercorrere tra musica classica e fotografia o rock e fotografia, è un argomento sul quale varrebbe la pena riflettere. Rossetti è certamente uno dei più rappresentativi fotografi di Novara Jazz Festival, del quale si è appena chiusa la XX edizione. A lui, Novara Jazz ha dedicato l’appuntamento inaugurale del festival, ovvero una mostra al Broletto Café all’interno dell’Arengo. Chi ha seguito il Festival in questi anni avrà modo di ritrovare alcuni dei musicisti e molti luoghi toccati dalla carovana di Novara Jazz. Mi piace indugiare, su queste immagini che oltre a riportarmi, come ogni ricordo fotografico, a momenti felici, sono anche capaci di innescare in me, e in generale in chi le guarda, il meccanismo della riflessione, della considerazione e anche del dubbio.

Potenza della grande fotografia. Naturalmente, tra le foto di Luciano Rossetti, esposte in occasione della XX edizione del Festival, ognuno di noi potrebbe scegliere quella più vicino al proprio sentire (o al proprio vedere), qualcuno potrebbe essere affezionato ad un particolare concerto o ad un musicista tra i tanti che si sono esibiti a Novara in questi venti (brevissimi) anni. E così non mi sottrarrò al gioco di scegliere la fotografia alla quale sono emotivamente più vicino. La fotografia è certamente quella di Jaimie Branch scattata da Luciano Rossetti nel novembre del 2018 durante il concerto di Jaimie al Piccolo Coccia di Novara. Perché? Naturalmente non solo perché Jaimie Branch è prematuramente e improvvisamente scomparsa qualche anno fa, ma perché la fotografia mostra una difficoltà, quella di comprendere davvero la personalità di questa magnifica trombettista di Huntington (NY).

La fotografia la ritrae in primo piano, anzi in secondo piano rispetto alla sua tromba, che è in primissimo piano e appare un po’ sfuocata. Jamie ha la fronte imperlata di sudore, porta il consueto copricapo di lana pesante e l’immancabile tuta sportiva un po’ macilenta, una “mise” in perfetta consonanza col luogo dove viveva (Brooklyn) e sembra celarsi dietro la tromba o forse svelarsi con essa. Ma nella mostra ci sono altre foto che sono anche tappe di un ideale percorso nel festival novarese, come quella del 2009 che ritrae Roberto Ottaviano con Han Bennink che, più che un batterista, sembra essere una voce in un coro gospel. Per venire a scatti più recenti mi piace ricordare la fotografia del contrabbassista Ernst Reijseger al termine di un memorabile concerto in solo nella Basilica di San Gaudenzio, mentre si appresta a lasciare la scena contornato da un ambiente vorticosamente sfuocato che rende palpabile non solo il movimento del musicista, ma anche evoca mirabilmente il turbinio dei suoni ancora nell’aria dopo il concerto. Sono altresì molto affezionato alla foto del grande pianista e compositore Alexander Hawkins e al suo divertito sorriso dopo il concerto in solo nella corte di Casa Bossi nel 2021, dove la laccatura del pianoforte contrasta fortemente col muro scrostato della casa.

Non è un’impresa di poco conto descrivere con le parole una fotografia, soprattutto se si tratta di fotografie pregne di senso come queste di Luciano Rossetti che prima dello straordinario solo di contrabbasso di Adam Pultz-Melbye mi ha fatto dono del catalogo di una sua precedente mostra a Seriate (Bg) del 2020. In quel catalogo sono raccolte fotografie scattate in giro per il mondo a grandi personalità del jazz come Arvo Pärt, Wadada Leo Smith, Peter Brötzman, John Patitucci, Michel Petrucciani, Butch Morris, Lee Konitz, citando così un po’ a caso. Anche qui tra le tante foto, qualcuna, per qualche misterioso motivo, resta nell’anima, forse per quello che Roland Barthes ne “La camera chiara”, chiamava il “punctum” di una fotografia, ovvero quel punto misterioso, non necessariamente il più gerarchicamente significativo di uno scatto, ma quello dal quale non si riesce a distogliere lo sguardo.

E non può non restare nell’anima, quel piccolo spazio tra due trombe che si fronteggiano, quella di Gabriele Mitelli e quella di Rob Mazurek immersi al tramonto nel mare di Masainas in Sardegna nel 2018. Un momento di poesia catturato da Luciano Rossetti che mi piace serbare nel cuore e condividere con Voi (e con lui).

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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«Ci sono uomini e donne che piantano semi, che mettono in moto emozioni, stati d'animo, comunicazione, che aprono strade e potrebbero abbattere montagne. Che fanno venir voglia di muoversi e darsi da fare, e di viverla fino in fondo e pienamente, questa vita. Uomini e donne che fanno musica come altri fanno il pane. E ci sono uomini e donne, che quelle cose ce le fanno vedere come non avremmo saputo fare da soli, ne mettono in evidenza particolari rivelatori, cambiano la prospettiva, la aprono, fanno luce. Letteralmente disvelano. Luciano Rossetti, fotografo, è uno di questi uomini».

Questa sono le parole che Pino Saulo di Radio Tre ha usato per introdurre una recente mostra fotografica di Luciano Rossetti. Lo stretto legame tra jazz e fotografia, molto più stretto di quello che potrebbe intercorrere tra musica classica e fotografia o rock e fotografia, è un argomento sul quale varrebbe la pena riflettere. Rossetti è certamente uno dei più rappresentativi fotografi di Novara Jazz Festival, del quale si è appena chiusa la XX edizione. A lui, Novara Jazz ha dedicato l'appuntamento inaugurale del festival, ovvero una mostra al Broletto Café all'interno dell'Arengo. Chi ha seguito il Festival in questi anni avrà modo di ritrovare alcuni dei musicisti e molti luoghi toccati dalla carovana di Novara Jazz. Mi piace indugiare, su queste immagini che oltre a riportarmi, come ogni ricordo fotografico, a momenti felici, sono anche capaci di innescare in me, e in generale in chi le guarda, il meccanismo della riflessione, della considerazione e anche del dubbio.

Potenza della grande fotografia. Naturalmente, tra le foto di Luciano Rossetti, esposte in occasione della XX edizione del Festival, ognuno di noi potrebbe scegliere quella più vicino al proprio sentire (o al proprio vedere), qualcuno potrebbe essere affezionato ad un particolare concerto o ad un musicista tra i tanti che si sono esibiti a Novara in questi venti (brevissimi) anni. E così non mi sottrarrò al gioco di scegliere la fotografia alla quale sono emotivamente più vicino. La fotografia è certamente quella di Jaimie Branch scattata da Luciano Rossetti nel novembre del 2018 durante il concerto di Jaimie al Piccolo Coccia di Novara. Perché? Naturalmente non solo perché Jaimie Branch è prematuramente e improvvisamente scomparsa qualche anno fa, ma perché la fotografia mostra una difficoltà, quella di comprendere davvero la personalità di questa magnifica trombettista di Huntington (NY).

La fotografia la ritrae in primo piano, anzi in secondo piano rispetto alla sua tromba, che è in primissimo piano e appare un po’ sfuocata. Jamie ha la fronte imperlata di sudore, porta il consueto copricapo di lana pesante e l’immancabile tuta sportiva un po’ macilenta, una “mise” in perfetta consonanza col luogo dove viveva (Brooklyn) e sembra celarsi dietro la tromba o forse svelarsi con essa. Ma nella mostra ci sono altre foto che sono anche tappe di un ideale percorso nel festival novarese, come quella del 2009 che ritrae Roberto Ottaviano con Han Bennink che, più che un batterista, sembra essere una voce in un coro gospel. Per venire a scatti più recenti mi piace ricordare la fotografia del contrabbassista Ernst Reijseger al termine di un memorabile concerto in solo nella Basilica di San Gaudenzio, mentre si appresta a lasciare la scena contornato da un ambiente vorticosamente sfuocato che rende palpabile non solo il movimento del musicista, ma anche evoca mirabilmente il turbinio dei suoni ancora nell’aria dopo il concerto. Sono altresì molto affezionato alla foto del grande pianista e compositore Alexander Hawkins e al suo divertito sorriso dopo il concerto in solo nella corte di Casa Bossi nel 2021, dove la laccatura del pianoforte contrasta fortemente col muro scrostato della casa.

Non è un’impresa di poco conto descrivere con le parole una fotografia, soprattutto se si tratta di fotografie pregne di senso come queste di Luciano Rossetti che prima dello straordinario solo di contrabbasso di Adam Pultz-Melbye mi ha fatto dono del catalogo di una sua precedente mostra a Seriate (Bg) del 2020. In quel catalogo sono raccolte fotografie scattate in giro per il mondo a grandi personalità del jazz come Arvo Pärt, Wadada Leo Smith, Peter Brötzman, John Patitucci, Michel Petrucciani, Butch Morris, Lee Konitz, citando così un po’ a caso. Anche qui tra le tante foto, qualcuna, per qualche misterioso motivo, resta nell’anima, forse per quello che Roland Barthes ne “La camera chiara”, chiamava il “punctum” di una fotografia, ovvero quel punto misterioso, non necessariamente il più gerarchicamente significativo di uno scatto, ma quello dal quale non si riesce a distogliere lo sguardo.

E non può non restare nell’anima, quel piccolo spazio tra due trombe che si fronteggiano, quella di Gabriele Mitelli e quella di Rob Mazurek immersi al tramonto nel mare di Masainas in Sardegna nel 2018. Un momento di poesia catturato da Luciano Rossetti che mi piace serbare nel cuore e condividere con Voi (e con lui).

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.