Maurizio Cattelan: “Breath Ghosts Blind”

Non andate a vedere questa mostra perché potreste rimanere delusi, oppure andateci perché non vi deluderà. Dipende da quali emozioni cerchiate nell’arte. Anzi dipende da quali emozioni cerchiate tout court. La mostra che propone Pirelli Hangar Bicocca, è una mostra per tutti e per nessuno, come disse del suo “Also Sprach Zarathustra”, Friderich Nietzsche. In uno spazio colossale sono esposte “solo” tre opere-installazioni di Maurizio Cattelan, se vogliamo legate tra loro dall’idea del ciclo della vita, come affermano Roberta Tenconi e Vincente Todolì nella piccola e preziosa brochure; anche se non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan la pensi necessariamente allo stesso modo. La prima è un’opera-installazione creata con un materiale nobile come il marmo di Carrara: “Breath” è composta da una figura umana in posizione fetale e dal suo cane (o forse da “un” cane), sdraiato accanto. Sono due piccole figure nell’immenso e buio atrio dell’Hangar. Chi sono? Sono una figura umana e un cane. Cosa rappresentano? Una figura umana e un cane. Forse si tratta di un clochard con il suo cane che ha trovato rifugio in un capannone industriale. Forse riposano. Forse no. La seconda installazione è nella navata centrale dell’hangar, anzi, è la navata dell’hangar, spazio di inaudita grandezza, questa volta abitato da migliaia di piccioni (in tassidermia) appollaiati sulle travi metalliche, sul carroponte e sui tralicci della struttura. Cosa fanno qui i piccioni? Beh la risposta è molto più facile: fanno i piccioni e rappresentano i piccioni. Forse non avete capito, ma per i piccioni (e per quelli di Cattelan), gli intrusi siamo noi, nell’hangar e fuori. Qui però scatta uno di quei corto-circuiti di cui l’artista è insuperabile: nel già citato ciclo della vita i piccioni sono morti (o per meglio dire non sono vivi), infatti il titolo dell’opera è “Ghosts”. Sono gli stessi piccioni, ma in numero molto maggiore di quelli già visti alla Biennale del 1997, anche lì erano presenti per guardare noi. Ultima stazione del trittico, nel cosiddetto cubo, ecco “Blind”, un faraonico ed essenziale monolite nero che si rivela essere la sagoma di una delle Twin Towers di NewYork, attraversata da un’altra sagoma, quella di uno degli aerei dirottati dai terroristi di Al Qaida che si schiantò sulle torri gemelle. Siamo ciechi? Siamo stati ciechi? Il monolite conclude il ciclo della vita come quello di “2001 Odissea nello Spazio” film di un altro leggendario visionario quale fu Stanley Kubrick. Forse sì, ma solo forse. Potrebbe essere. Non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan abbia le stesse certezze dei curatori della mostra e dei redattori del catalogo. Del resto lo diceva già Arnold Hauser in “Sociologia dell’arte” quando affermava “artista e pubblico non parlano immediatamente la stessa lingua…”. Insomma io credo sia meglio affidarsi al segreto dello stesso Cattelan in un suo celebrato volume, “All” dove confessa di creare delle opere ed aspettare che altri diano loro il/i significato/i. Allora se volete sfidare l’autostrada infuocata, percorrere il Viale Sarca nell’afa più micidiale per infilarvi in quella meravigliosa pancia della balena che è l’Hangar Pirelli, la Grande Rivelazione vi aspetta. Se invece credete che non ne valga la pena, Cattelan non fa per voi. Ma nemmeno l’arte.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Maurizio Cattelan: “Breath Ghosts Blind”

Non andate a vedere questa mostra perché potreste rimanere delusi, oppure andateci perché non vi deluderà. Dipende da quali emozioni cerchiate nell’arte. Anzi dipende da quali emozioni cerchiate tout court. La mostra che propone Pirelli Hangar Bicocca, è una mostra per tutti e per nessuno, come disse del suo “Also Sprach Zarathustra”, Friderich Nietzsche. In uno spazio colossale sono esposte “solo” tre opere-installazioni di Maurizio Cattelan, se vogliamo legate tra loro dall’idea del ciclo della vita, come affermano Roberta Tenconi e Vincente Todolì nella piccola e preziosa brochure; anche se non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan la pensi necessariamente allo stesso modo. La prima è un’opera-installazione creata con un materiale nobile come il marmo di Carrara: “Breath” è composta da una figura umana in posizione fetale e dal suo cane (o forse da “un” cane), sdraiato accanto. Sono due piccole figure nell’immenso e buio atrio dell’Hangar. Chi sono? Sono una figura umana e un cane. Cosa rappresentano? Una figura umana e un cane. Forse si tratta di un clochard con il suo cane che ha trovato rifugio in un capannone industriale. Forse riposano. Forse no. La seconda installazione è nella navata centrale dell’hangar, anzi, è la navata dell’hangar, spazio di inaudita grandezza, questa volta abitato da migliaia di piccioni (in tassidermia) appollaiati sulle travi metalliche, sul carroponte e sui tralicci della struttura. Cosa fanno qui i piccioni? Beh la risposta è molto più facile: fanno i piccioni e rappresentano i piccioni. Forse non avete capito, ma per i piccioni (e per quelli di Cattelan), gli intrusi siamo noi, nell’hangar e fuori. Qui però scatta uno di quei corto-circuiti di cui l’artista è insuperabile: nel già citato ciclo della vita i piccioni sono morti (o per meglio dire non sono vivi), infatti il titolo dell’opera è “Ghosts”. Sono gli stessi piccioni, ma in numero molto maggiore di quelli già visti alla Biennale del 1997, anche lì erano presenti per guardare noi. Ultima stazione del trittico, nel cosiddetto cubo, ecco “Blind”, un faraonico ed essenziale monolite nero che si rivela essere la sagoma di una delle Twin Towers di NewYork, attraversata da un’altra sagoma, quella di uno degli aerei dirottati dai terroristi di Al Qaida che si schiantò sulle torri gemelle. Siamo ciechi? Siamo stati ciechi? Il monolite conclude il ciclo della vita come quello di “2001 Odissea nello Spazio” film di un altro leggendario visionario quale fu Stanley Kubrick. Forse sì, ma solo forse. Potrebbe essere. Non sono sicurissimo che Maurizio Cattelan abbia le stesse certezze dei curatori della mostra e dei redattori del catalogo. Del resto lo diceva già Arnold Hauser in “Sociologia dell’arte” quando affermava “artista e pubblico non parlano immediatamente la stessa lingua…”. Insomma io credo sia meglio affidarsi al segreto dello stesso Cattelan in un suo celebrato volume, “All” dove confessa di creare delle opere ed aspettare che altri diano loro il/i significato/i. Allora se volete sfidare l’autostrada infuocata, percorrere il Viale Sarca nell’afa più micidiale per infilarvi in quella meravigliosa pancia della balena che è l’Hangar Pirelli, la Grande Rivelazione vi aspetta. Se invece credete che non ne valga la pena, Cattelan non fa per voi. Ma nemmeno l’arte.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.