Ci sono mostre, ma soprattutto luoghi espositivi, che sono una garanzia di qualità, pertanto molto spesso, anche se non sempre, li visito con grandi aspettative e, senza documentarmi (eccessivamente) su nuovi artisti o mostre programmate. Armato di questi (un po’ insani) principi, in occasione del mio recente soggiorno veneziano per la Biennale d’Arte, mi sono recato a Palazzo Ca’ Corner della Regina attualmente in gestione, per così dire, alla Fondazione Prada, senza particolari condizionamenti su Christoph Buchel, artista svizzero che non conoscevo gran che, a parte la chiesa veneziana trasformata in una moschea durante la Biennale del 2015, e qualche suo altro gesto estremo e provocatorio.
E così, non conoscendo l’ubicazione del palazzo, ho impostato su Google Maps la destinazione da raggiungere. Dopo un breve tragitto, arrivati alla fine di una calle con sbocco sul Canal Grande, lo strumento si ostinava a dire: “Destinazione raggiunta” mentre di fronte a me c’era solo l’insegna di un “Compro-oro”. Forse avrei dovuto arrivarci per affinità, ma nessuno del personale della Fondazione era sulla strada per dare informazioni, anzi il personale sembrava non esserci proprio.
Nel nobile palazzo vi era una gigantesca ricostruzione del vecchio Monte di pietà dove restano depositati oggetti di ogni tipo che sembra nessuno voglia più riprendersi. Un luogo desolatamente suggestivo e squallidamente straordinario dove colpisce, come un pugno nello stomaco, il contrasto tra la nobile architettura veneziana e la paccottiglia immagazzinata in ogni dove. Un progetto che pare non sia stato gradito da molti veneziani, soprattutto per quel finto annuncio di vendita sulla facciata del palazzo, tanto finto da sembrare vero, e quello slogan, “Venezia è bella, facciamola più bella”, che sembra la pubblicità di una ennesima speculazione immobiliare.
Beh certo, anche Duchamp spedì il suo orinatoio con la firma del mittente “R. Mutt” e qualcuno ci cascò, ma erano altri tempi ed io credevo di essere più smaliziato. Del resto aveva già capito tutto Karl Kraus quando affermava “Fare arte consiste in trasformare in enigmi delle soluzioni”. Ah dimenticavo, il “Compro-oro” era la biglietteria della mostra: geniale! Vale la pena ricordare che Palazzo Ca’ Corner della Regina, a Venezia, è stato per 135 anni la vera sede del Monte di Pietà e proprio qui Büchel compie una operazione molto semplice e molto complessa sia tecnicamente che artisticamente: forte della convinzione che l’umanità viva in un banco di pegni mondiale e che il sistema del credito sia in fondo il sistema del debito, ricostruisce un vero/finto banco dei pegni, con gli stessi oggetti, negli stessi spazi, in una verosimile lugubre atmosfera del vero (ex) Monte di Pietà.
Come l’attore è un uomo che finge di fingere, secondo l’azzeccata definizione di Vittorio Gassman, per affinità anche anche l’arte elabora il falso per affermare il vero. Un accumulo incredibile di oggetti attaccapanni, vestiti, radio, motociclette, attrezzi da falegname, quadri, sedie, tappeti, posters, libri, barelle, armi, biciclette, biancheria, argenteria, gioielli, monili, giocattoli, insomma un inventario dell’infinito, accumulato nelle nobili sale del palazzo che ha ospitato il monte dei pegni fino al 1969. Questi oggetti però, non hanno un vero e proprio “status” artistico; non sono i ready-made di Duchamp e nemmeno le compressioni di Cesar o le bizzarrie di Ben Vautrier, questi oggetti non interpretano loro stessi sulla fantasmagorica scena dell’arte.
No, questi oggetti non “interpretano” niente, ma “sono”; tracce forti o labili di storie vissute, tessere nel mosaico della memoria. Nell’insieme forse possono rappresentare una osservazione critica sulla oggettualizzazione delle nostre vite, forse sullo spreco e anche sulla inutilità del nostro materialismo. Le letture possono essere molte, ma l’intenzionalità artistica, quella di saper suscitare il pensiero, funziona a meraviglia in un luogo talmente reale da sembrare il contrario.
Una mostra che, da sola, vale una visita a Venezia.