Dalla rubrica Chez Mimich

Anche se la storia della nascita della bomba atomica è nota, non è poi così chiara (nemmeno per chi l’ha vissuta) e quindi ha fatto bene Christopher Nolan a trarne ispirazione per un film ed un film di grande qualità. Sto naturalmente parlando di “Oppenheimer”,  da qualche settimana nelle sale, e delle cui qualità si è già scritto in abbondanza sui social, o meglio si è solo scritto che si tratta di un bel film (questo è uno dei limiti dei social), ma mai o quasi mai si specifica perché lo sia.

Robert Oppenheimer è universalmente riconosciuto come il padre della bomba atomica, quella nata dal “Progetto Manhattan”, portato avanti nel sito ultra protetto di Los Alamos, a partire dal 1942 in piena Seconda Guerra Mondiale. Robert Oppenheimer era nato a New York da genitori ebrei e non aveva mai nascosto le sue idee progressiste, di sinistra e, pur se per un breve periodo della sua vita, comuniste. Vicende già abbastanza note ma che il film di Nolan ricostruisce ed inserisce su un doppio binario: da una parte quello della cronaca di quei giorni e mesi convulsi e dall’altra quello del punto di vista dello stesso scienziato, costretto a riferire nell’inchiesta su di lui aperta dalla Commissione per l’energia atomica che, in pieno maccartismo, lo indaga con l’accusa di aver passato all’Unione Sovietica, i segreti della bomba. Per essere sinceri buona parte della sceneggiatura di un film tanto complesso e ottimamente documentato, è debitrice verso il libro di Kai Bird e Martina J. Sherwin, autori di “American Prometheus” vincitore del Pulitzer 2006.

Oppenheimer fu vittima del successo del progetto “Manhattan”, nato per cercare di sconfiggere in maniera definitiva il Giappone e del suo successivo rimorso, con relativa frenata sui nuovi progetti di sviluppo, dopo le tragedie umane di Hiroshima e Nagasaki. Il progetto avrebbe potuto essere simile alla mela avvelenata che lo stesso scienziato cercò di far mangiare al suo tutor di molti anni prima a Cambridge, Patrick Blankett. Anche in questa occasione Robert Oppenheimer è riuscito a fermarsi in tempo? In realtà non ci è dato saperlo viste le conseguenze dei decenni successivi con la Guerra Fredda. Nolan mette in scena un film dal montaggio infernale e dal ritmo serrato dei due piani narrativi, caratterizzati dal colore nella parte della cronaca degli avvenimenti e dal b/n di quello dell’inchiesta della Commissione, trovata di per sé non originalissima che caratterizza quasi tutti i flash-back della storia del cinema, ma comunque piuttosto efficace. È proprio lo straordinario montaggio di Jennifer Lane il vero punto di forza del film.

Di grande pregio anche l’ibrida colonna sonora (musica e rumore) di Ludwig Goransson. Nota di merito agli effetti speciali usati nella giusta misura, in un film in cui sarebbe stato molto facile cadere nella tentazione di stupire a tutti i costi. Tocco di classe nelle sequenze della esplosione a Los Alamos, dove al prevedibilissimo boato dell’esplosione, viene preferito un inaspettato silenzio. Cast di grande rilievo con Cillian Murphy che interpreta un credibilissimo Oppenheimer. Prima che ne cada una sulla testa anche a noi, sarebbe utile conoscere la storia di chi la inventò, per quali scopi, con quali conseguenze e con quali abissali rimorsi di coscienza.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Anche se la storia della nascita della bomba atomica è nota, non è poi così chiara (nemmeno per chi l’ha vissuta) e quindi ha fatto bene Christopher Nolan a trarne ispirazione per un film ed un film di grande qualità. Sto naturalmente parlando di “Oppenheimer”,  da qualche settimana nelle sale, e delle cui qualità si è già scritto in abbondanza sui social, o meglio si è solo scritto che si tratta di un bel film (questo è uno dei limiti dei social), ma mai o quasi mai si specifica perché lo sia.

Robert Oppenheimer è universalmente riconosciuto come il padre della bomba atomica, quella nata dal “Progetto Manhattan”, portato avanti nel sito ultra protetto di Los Alamos, a partire dal 1942 in piena Seconda Guerra Mondiale. Robert Oppenheimer era nato a New York da genitori ebrei e non aveva mai nascosto le sue idee progressiste, di sinistra e, pur se per un breve periodo della sua vita, comuniste. Vicende già abbastanza note ma che il film di Nolan ricostruisce ed inserisce su un doppio binario: da una parte quello della cronaca di quei giorni e mesi convulsi e dall’altra quello del punto di vista dello stesso scienziato, costretto a riferire nell’inchiesta su di lui aperta dalla Commissione per l’energia atomica che, in pieno maccartismo, lo indaga con l’accusa di aver passato all’Unione Sovietica, i segreti della bomba. Per essere sinceri buona parte della sceneggiatura di un film tanto complesso e ottimamente documentato, è debitrice verso il libro di Kai Bird e Martina J. Sherwin, autori di “American Prometheus” vincitore del Pulitzer 2006.

Oppenheimer fu vittima del successo del progetto “Manhattan”, nato per cercare di sconfiggere in maniera definitiva il Giappone e del suo successivo rimorso, con relativa frenata sui nuovi progetti di sviluppo, dopo le tragedie umane di Hiroshima e Nagasaki. Il progetto avrebbe potuto essere simile alla mela avvelenata che lo stesso scienziato cercò di far mangiare al suo tutor di molti anni prima a Cambridge, Patrick Blankett. Anche in questa occasione Robert Oppenheimer è riuscito a fermarsi in tempo? In realtà non ci è dato saperlo viste le conseguenze dei decenni successivi con la Guerra Fredda. Nolan mette in scena un film dal montaggio infernale e dal ritmo serrato dei due piani narrativi, caratterizzati dal colore nella parte della cronaca degli avvenimenti e dal b/n di quello dell’inchiesta della Commissione, trovata di per sé non originalissima che caratterizza quasi tutti i flash-back della storia del cinema, ma comunque piuttosto efficace. È proprio lo straordinario montaggio di Jennifer Lane il vero punto di forza del film.

Di grande pregio anche l’ibrida colonna sonora (musica e rumore) di Ludwig Goransson. Nota di merito agli effetti speciali usati nella giusta misura, in un film in cui sarebbe stato molto facile cadere nella tentazione di stupire a tutti i costi. Tocco di classe nelle sequenze della esplosione a Los Alamos, dove al prevedibilissimo boato dell’esplosione, viene preferito un inaspettato silenzio. Cast di grande rilievo con Cillian Murphy che interpreta un credibilissimo Oppenheimer. Prima che ne cada una sulla testa anche a noi, sarebbe utile conoscere la storia di chi la inventò, per quali scopi, con quali conseguenze e con quali abissali rimorsi di coscienza.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.