Nello scorso mese di agosto il Centre Pompidou ha ospitato la mostra “Over the rainbow”, una mostra che riunisce più di cinquecento opere d’arte e documenti, principalmente dalla collezione del Pompidou, e riferiti per la gran parte alla produzione artistica francese. Le opere che coprono un arco temporale, che va dal XIX secolo al 2000 e oltre, sono di artisti che hanno contribuito a trasformare la rappresentazione delle sessualità cosiddette “minoritarie” e hanno partecipato alle lotte delle comunità LGBTQ+ per il riconoscimento dei loro diritti.
Non ne scrissi a suo tempo, ma lo faccio volentieri ora, dopo aver anche consultato il magnifico catalogo, edito dal Centre Pompidou, di cui ho appena terminato la lettura. Le opere viste erano di grande qualità, anche se molte non propriamente una novità, ma la lettura del catalogo rivela tante cuorisità e informa ampiamente su una serie di fatti e circostanze che dànno la misura di quanto sia stata ardua la conquista dei diritti per le persone con un orientamento sessuale, considerato non conforme alla “norma”. La preziosissima cronologia del volume (stampata su pagine fucsia-fluo) prende la mosse dal 1868 quando il giornalista, scrittore e militante Karl-Maria Kerybeny utilizza per la prima volta i termini “omosessuale” e “eterosessuale”. A far data da quel remoto anno, il catalogo analizza centinaia di opere letterarie, opere d’arte, di grafica e fotografie, ma anche film ed opere teatrali che hanno dato un notevole supporto culturale e, in fin dei conti, resa possibile la conquista di diritti civili che oggi ci appaiono assolutamente irrinunciabili. Nel repertorio fanno spicco vere e proprie chicche come le poesie di Natalie Clifford Barney : in mostra una preziosa edizione dei suoi “Pensées d’una amazone” del 1920.
La Barney, espatriata americana, non per nulla considerava Parigi “la seul ville où l’on peut vivre et s’exprimer à sa guisa…” Di eccezionale bellezza il carnet di disegni di Marie Laurencin, ritrattista e decoratrice, che disegna una donna indipendente, libera nel desiderare l’attenzione di altre donne. Questa scrittrice, oltre che artista, racconterà ne “Le Carnet des nuits” di aver incominciato ad illustrare, a vent’anni, una preziosa edizione di “Les Fleurs du Mal”. L’incontro di Adrienne Monnier e Sylvia Beach nel 1916, nei locali della libreria “la Maison des Amis des Livres” all’Odeon, farà diventare il luogo un punto d’incontro di artisti ed intellettuali e proprio lì Sylvia Beach matura l’idea di far nascere una sua libreria, quella “Shakespeare & Co.” che sarà da subito frequentata da Margaret Anderson, Natalie Clifford Braney, Gertrude Stein, accomunate naturalmente, e non solo, dal fatto di essere lesbiche “militanti”. Tantissimi gli argomenti trattati dagli esplicitissimi disegni “honoérotiques” di Jean Cocteau ai dipinti di Gerda Wegener e Lili Elbe. Il secolo breve scorre veloce e sono davvero numerose le figure rappresentative della lotta per i diritti di queste sessualità non omologate, che spesso viaggiano sottotraccia, come nel caso del travestitismo nel mondo del cabaret, per fare un esempio quello di Félix Mayol gloria dell’Eldorado e della Scala, noti locali parigini (quest’ultimo molto conosciuto anche in Italia).
Sul finire del secolo, quando rivendicazioni e lotte escono allo scoperto, anche le arti visive sono massicciamente sul campo di battaglia. È il caso della cosiddetta “grafica queer”, quella per esempio del movimento/scuola Akimbo, nato a San Francisco, che metterà spesso nel suo mirino la politica conservator-reazionaria del presidente George H.W. Bush. Negli anni Novanta sarà l’HIV a diventare argomento parallelo a quello della omosessualità e delle identità sessuali fluide. Nel dicembre del 1995 il movimento “Blanckart”, anziché partecipare alla mostra “Images pour la lutte contre le SIDA” fa pressione, sull’allora presidente del Centre Pompidou, perché acconsenta all’esposizione di un gigantesco striscione con la scritta “L’art contre le SIDA ne sert a rien: mettez des capotes” ovvero “L’ Arte contro l’AIDS non serve a nulla: mettete il profilattico”. Una rivoluzione apparentemente tutta nominale, ma in realtà molto sostanziale. Va ricordato che nel 1995,nproprio al Centre Pompidou, fu allestita una mostra che si può a ragion veduta definire storica, ovvero “Féminimasculin. Le sexe de l’art” che ebbi modo di visitare e della quale conservo gelosamente il catalogo, uno dei più particolari ed esaustivi sull’argomento. Si arriva così quasi alle soglie del nostro tempo, quando la cronologia del volume di cui si diceva, annuncia la legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso detto “Mariage pour tous”. Il resto è cronaca .