“Ouverture”, Bourse de Commerce, Collection Pinault

Scriveva Walter Benjamin, nel suo diario, che quando prendeva tra le mani “Le Paysan de Paris” di Louis Aragon, non leggeva che poche pagine per timore di finirlo troppo in fretta. Beh sta capitando così anche a me mentre ho tra le mani il poderoso catalogo di “Ouverture, la Collection Pinault à la Bourse de Commerce”. Da dove partire se non dal contenitore della eccezionale collezione di François Pinault? La vecchia borsa di Parigi, edificio circolare del XIX secolo, con la sua splendida cupola in ferro e ghisa, rimodellato dal genio iper-minimalista di Tadao Ando. L’ultima meraviglia della capitale parigina che non finisce mai di stupire per vitalità e voglia di fare e a cui la sonnacchiosa capitale italiana dovrebbe guardare un po’ più spesso.

“Ouverture” è l’inevitabile titolo della prima mostra e del primo catalogo (che comprende anche la descrizione delle collezioni), che la Bourse mette in campo. Non si può che cominciare dall’incanto che prende il visitatore nel momento in cui davanti ai suoi occhi si manifesta l’imponenza dell’edificio. È proprio sotto la cupola, nella rotonda, ecco l’installazione di Urs Fischer che non ha titolo. La riproduzione del “Ratto delle Sabine” di Giambologna a grandezza naturale con alcuni oggetti di contorno, (quattro-cinque sedie), e uno spettatore, completamente di cera; in pratica una enorme gigantesca candela, così come candele sono gli oggetti e lo spettatore. Ma le candele sono fatte per essere accese ed infatti , solo chi ha avuto la fortuna di entrare nella Bourse nel giorno della sua inaugurazione a giugno, ha potuto vedere le sculture nella loro interezza, poiché, ovviamente, si sciolgono.

Il “Tempo consuma il tutto”, forse un’ idea non nuovissima in arte (aveva rappresentato bene il concetto Michelangelo, nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, senza ricorrere ad effetti speciali), ma certamente un’opera di fortissimo impatto. E non poteva che essere così, che un “coup de theatre” aprisse questo mondo delle meraviglie. Nello spazio genialmente ricavato da Ando, tra le mura perimetrali della rotonda e l’anello “beton-brut” creato dall’architetto giapponese, ecco le vetrine che contenevano i bollettini di borsa, trasformate in installazione site-specific da Bertrand Lavier, dove una serie di oggetti vengono “messi a dimora” sotto l’egida di sua maestà l’ironia: tubi al neon, uno skate,un contrabbasso, un estintore… Un girotondo che ci riporta al punto di partenza al piano terra e che non fa che stimolare l’appetito dei divoratori di arte contemporanea.

Sempre restando alle installazioni temporanee ecco il dolcissimo topolino di Ryan Gander che con la sua minuscola e divertente presenza ha addirittura meritato la copertina del poderoso catalogo. Non è un caso, Ryan Gander espone con grande allegrezza, il tema della fragilità ed è facile farlo qui, sotto la cupola di questo fastoso e grandioso edificio, dove il suo topolino che si affaccia da un minuscolo buchetto nel muro, evoca (con la voce della figlia dell’artista), che l’arte oggi non mostra più il virtuosismo dell’artista, bensì la sua vulnerabilità. Dopo la gigantesca tela di Martial Raysse con una delle sue mitologie contemporanee, in questo caso una spiaggia della Costa Azzurra, cominciamo a salire nei piani della rotonda per calarci nel cuore della collezione cominciando dal livello uno con una strabiliante serie fotografica di Michel Journiac le “24 heures d’une femme ordinaire”, che in realtà di ordinario non ha proprio nulla, poiché la donna colta nei vari momenti di una giornata, è in realtà un uomo.

Ma è chiaro che se siete visitatori alla ricerca dell’ordinarietà, questo luogo non fa per voi. Lo si percepisce benissimo anche dalle glaciali fotografie di bicchierini di plastica per il caffé di Louise Lawler, uno per ogni rappresentante dei deputati di Capitol Hill eletti sotto l’amministrazione Regan: identici, conformi e uniformi, “Helms Amendament”, prende il nome dal senatore americano che con un emendamento abolì l’assistenza agli stranieri per l’aborto. Come si vede cambiano i tempi, ma le ingiustizie razziste sembrano essere sempre le stesse. Altrettanto straordinarie, anche se molto più narrative le fotografie di Sherrie Levine, le inquiete ed inquietanti donne di Cindy Sherman, il West di Richard Prince, il glamour poco glamour di Martha Wilson. Col secondo livello si apre una grandiosa visione sulla “pittura” contemporanea, ne avevo fatto cenno in un precedente post: la pittura è tornata con rinnovata forza sulla scena dell’arte internazionale e non da ora.

La Collection Pinault contiene pezzi incantevoli della “nuova pittura mondiale”. A cominciare dal pittore fotografico (o fotografo pittografico), Rudolph Stingel, con le sue grandissime tele che ammiccano ad un “sublime” tutto contenuto nella figura umana. Ci accompagnano lungo il percorso le poltroncine elaborate di Tatiana Trouvé, sulle quali sono appoggiati oggetti che sembrano abbandonati o dimenticati. Impossibile citare tutti gli autori, Xinyi Cheng, l’immenso Peter Doig con la sua pittura iconica, le figure spettrali e le variazioni sul teschio umano di Marlene Dumas. Poi le “nigrizie” pittoriche di Kerry James Marshall, le anatomie grossolane dei nudi di Ser Serpas, tanto ammiccanti a Lucien Freud e allo stesso tempo così pregne di novità stilistica, le adolescenze incerte di Claire Tabouret, gli umani astratti di Lynette Yiadom-Boakye, le fantasmatiche apparizione delle “sinopie” pittoriche di Miriam Cahn, il simbolismo primitivo di Antonio Oba, gli sguardi vacui e inutili del grande Luc Tuymans, e poi ancora l’iperrealismo sfatto di Martin Kipperberger, le desolazioni umane di Florian Krewer, le sculture fuori misura di Thomas Schütte, che per qualità nulla hanno da invidiare a quelle della concorrente collezione della Fondation Vuitton.

È tutto? No, resta la fantastica mostra temporanea con l’opera di quel raccoglitore di reperti umani che è David Hammons, che occupa una buona fetta del piano terra. Ma manca ancora qualcosa: i piccioni di Maurizio Cattelan che anche qui, come nello spazio del Pirelli Hangar Bicocca, guardano i visitatori stando appollaiati sul un cornicione interno dell’immensa cupola. È tutto? Non ancora, l’installazione iper tecnologica di Pierre Huyghe e per finire l’antica colonna-faro all’eterno della Bourse affidata ad un genio della luce quale è Philippe Parreno. Ora non avete più alibi: se da troppi anni non siete tornati a Parigi, approfittate di questa ennesima meraviglia per programmarvi un soggiorno. Se Parigi non la conoscete, allora anche le mie parole sono inutili…

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

© 2024 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Picture of Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

Condividi l'articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

“Ouverture”, Bourse de Commerce, Collection Pinault

Scriveva Walter Benjamin, nel suo diario, che quando prendeva tra le mani “Le Paysan de Paris” di Louis Aragon, non leggeva che poche pagine per timore di finirlo troppo in fretta. Beh sta capitando così anche a me mentre ho tra le mani il poderoso catalogo di “Ouverture, la Collection Pinault à la Bourse de Commerce”. Da dove partire se non dal contenitore della eccezionale collezione di François Pinault? La vecchia borsa di Parigi, edificio circolare del XIX secolo, con la sua splendida cupola in ferro e ghisa, rimodellato dal genio iper-minimalista di Tadao Ando. L’ultima meraviglia della capitale parigina che non finisce mai di stupire per vitalità e voglia di fare e a cui la sonnacchiosa capitale italiana dovrebbe guardare un po’ più spesso.

“Ouverture” è l’inevitabile titolo della prima mostra e del primo catalogo (che comprende anche la descrizione delle collezioni), che la Bourse mette in campo. Non si può che cominciare dall’incanto che prende il visitatore nel momento in cui davanti ai suoi occhi si manifesta l’imponenza dell’edificio. È proprio sotto la cupola, nella rotonda, ecco l’installazione di Urs Fischer che non ha titolo. La riproduzione del “Ratto delle Sabine” di Giambologna a grandezza naturale con alcuni oggetti di contorno, (quattro-cinque sedie), e uno spettatore, completamente di cera; in pratica una enorme gigantesca candela, così come candele sono gli oggetti e lo spettatore. Ma le candele sono fatte per essere accese ed infatti , solo chi ha avuto la fortuna di entrare nella Bourse nel giorno della sua inaugurazione a giugno, ha potuto vedere le sculture nella loro interezza, poiché, ovviamente, si sciolgono.

Il “Tempo consuma il tutto”, forse un’ idea non nuovissima in arte (aveva rappresentato bene il concetto Michelangelo, nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, senza ricorrere ad effetti speciali), ma certamente un’opera di fortissimo impatto. E non poteva che essere così, che un “coup de theatre” aprisse questo mondo delle meraviglie. Nello spazio genialmente ricavato da Ando, tra le mura perimetrali della rotonda e l’anello “beton-brut” creato dall’architetto giapponese, ecco le vetrine che contenevano i bollettini di borsa, trasformate in installazione site-specific da Bertrand Lavier, dove una serie di oggetti vengono “messi a dimora” sotto l’egida di sua maestà l’ironia: tubi al neon, uno skate,un contrabbasso, un estintore… Un girotondo che ci riporta al punto di partenza al piano terra e che non fa che stimolare l’appetito dei divoratori di arte contemporanea.

Sempre restando alle installazioni temporanee ecco il dolcissimo topolino di Ryan Gander che con la sua minuscola e divertente presenza ha addirittura meritato la copertina del poderoso catalogo. Non è un caso, Ryan Gander espone con grande allegrezza, il tema della fragilità ed è facile farlo qui, sotto la cupola di questo fastoso e grandioso edificio, dove il suo topolino che si affaccia da un minuscolo buchetto nel muro, evoca (con la voce della figlia dell’artista), che l’arte oggi non mostra più il virtuosismo dell’artista, bensì la sua vulnerabilità. Dopo la gigantesca tela di Martial Raysse con una delle sue mitologie contemporanee, in questo caso una spiaggia della Costa Azzurra, cominciamo a salire nei piani della rotonda per calarci nel cuore della collezione cominciando dal livello uno con una strabiliante serie fotografica di Michel Journiac le “24 heures d’une femme ordinaire”, che in realtà di ordinario non ha proprio nulla, poiché la donna colta nei vari momenti di una giornata, è in realtà un uomo.

Ma è chiaro che se siete visitatori alla ricerca dell’ordinarietà, questo luogo non fa per voi. Lo si percepisce benissimo anche dalle glaciali fotografie di bicchierini di plastica per il caffé di Louise Lawler, uno per ogni rappresentante dei deputati di Capitol Hill eletti sotto l’amministrazione Regan: identici, conformi e uniformi, “Helms Amendament”, prende il nome dal senatore americano che con un emendamento abolì l’assistenza agli stranieri per l’aborto. Come si vede cambiano i tempi, ma le ingiustizie razziste sembrano essere sempre le stesse. Altrettanto straordinarie, anche se molto più narrative le fotografie di Sherrie Levine, le inquiete ed inquietanti donne di Cindy Sherman, il West di Richard Prince, il glamour poco glamour di Martha Wilson. Col secondo livello si apre una grandiosa visione sulla “pittura” contemporanea, ne avevo fatto cenno in un precedente post: la pittura è tornata con rinnovata forza sulla scena dell’arte internazionale e non da ora.

La Collection Pinault contiene pezzi incantevoli della “nuova pittura mondiale”. A cominciare dal pittore fotografico (o fotografo pittografico), Rudolph Stingel, con le sue grandissime tele che ammiccano ad un “sublime” tutto contenuto nella figura umana. Ci accompagnano lungo il percorso le poltroncine elaborate di Tatiana Trouvé, sulle quali sono appoggiati oggetti che sembrano abbandonati o dimenticati. Impossibile citare tutti gli autori, Xinyi Cheng, l’immenso Peter Doig con la sua pittura iconica, le figure spettrali e le variazioni sul teschio umano di Marlene Dumas. Poi le “nigrizie” pittoriche di Kerry James Marshall, le anatomie grossolane dei nudi di Ser Serpas, tanto ammiccanti a Lucien Freud e allo stesso tempo così pregne di novità stilistica, le adolescenze incerte di Claire Tabouret, gli umani astratti di Lynette Yiadom-Boakye, le fantasmatiche apparizione delle “sinopie” pittoriche di Miriam Cahn, il simbolismo primitivo di Antonio Oba, gli sguardi vacui e inutili del grande Luc Tuymans, e poi ancora l’iperrealismo sfatto di Martin Kipperberger, le desolazioni umane di Florian Krewer, le sculture fuori misura di Thomas Schütte, che per qualità nulla hanno da invidiare a quelle della concorrente collezione della Fondation Vuitton.

È tutto? No, resta la fantastica mostra temporanea con l’opera di quel raccoglitore di reperti umani che è David Hammons, che occupa una buona fetta del piano terra. Ma manca ancora qualcosa: i piccioni di Maurizio Cattelan che anche qui, come nello spazio del Pirelli Hangar Bicocca, guardano i visitatori stando appollaiati sul un cornicione interno dell’immensa cupola. È tutto? Non ancora, l’installazione iper tecnologica di Pierre Huyghe e per finire l’antica colonna-faro all’eterno della Bourse affidata ad un genio della luce quale è Philippe Parreno. Ora non avete più alibi: se da troppi anni non siete tornati a Parigi, approfittate di questa ennesima meraviglia per programmarvi un soggiorno. Se Parigi non la conoscete, allora anche le mie parole sono inutili…

© 2020-2024 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata

Picture of Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.