Pepito il principe del jazz

Dalla rubrica Chez Mimich

La piccola, ma fornitissima biblioteca di RestArt-Novara jazz, situata nel cuore antico della città sta per arricchirsi di un nuovo prezioso volumetto, edito nel 2022 da “Minimum fax” il cui autore, Marco Molendini, giornalista del Messaggero, critico musicale e “bon vivant” della Roma degli anni Sessanta (ma anche un po’ prima) e Settanta (ma anche un po’ dopo), ha deciso di raccontare la storia di un singolarissimo musicista e animatore musicale a cui il jazz italiano deve molto: “Pepito Pignatelli, il principe del jazz”.

Il libro è provvisoriamente nelle mie mani, poiché Corrado Beldì che di jazz se ne intende, e non poco, ha deciso di prestarmelo e quindi non potevo proprio esimermi dallo scrivere qualche riga. Chi era Pepito? Un Pignatelli (famiglia nobile romana) che divenne una delle anime del jazz della capitale, e quindi italiano, e la narrazione di questa avventura fatta da Molendini è spigliata, divertente e ricca di aneddoti. La vita di “Pepito” fu tutta dedicata la jazz, tanto da essere diseredato dalla famiglia, proprio per questa sua scelta (e la sua relativa vita dissoluta).

Pepito è stato un valente batterista, ma assai più un organizzatore e un animatore della scena jazz, come si direbbe oggi, e anche un imprenditore sui generis, tanto che aprì locali storici del jazz italiano come il “Blue Note” e soprattutto il “Music Inn” di Roma, inizialmente poco più che un’umida cantina nei pressi di San Giovanni dei Fiorentini, a due passi dal Tevere. Con Alberto Alberti sostenne e testimoniò la nascita di quella grandissima manifestazione che è Umbria Jazz. Insomma un libro che va letto e gustato, poiché queste pagine sono attraversate giganti come Mal Waldorn (che suonò con lo stesso Pepito), Charlie Mingus, Chet Baker, Dexter Gordon, Lee Monitz, Gato Barbieri e tanti italiani come Romano Mussolini, Enrico Pierannunzi, Antonello Salis… Irresistibili le pagine dialogiche che Marco Molendini decide di scrivere in romanesco e che rendono ancora più credibile un personaggio che, come la sua vita, ha molti tratti di incredibilità.

Purtroppo quello stesso mondo, fu anche un mondo di dissolutezza e di droghe che determinarono la prematura scomparsa di molti dei protagonisti di quella vicenda. Il libro è denso di fatti e circostanze, in una Roma che è stata palcoscenico di arte contemporanea e cultura (da Twombly a Dario Bellezza). Purtroppo anche Pepito fu vittima di questa vita irregolare e dissoluta, lasciando poi nella disperazione la bellissima moglie Picchi, mentre il jazz cedette (non si può fare a meno di notarlo) questa ombra di maledizione al nascente rock. Un libro però anche pieno di nostalgia dove “…Quel che era vicino si allontana e quel che era lontano è accanto a te…”, come dice il verso di una famosa canzone di Francesco Guccini. Un libro naturalmente imperdibile per chi ama il jazz.

In fondo Corrado Beldì è un po’ il Pepito della nostra città per le sue straordinarie capacità organizzative e per l’incessante lavorio intorno a “Novara Jazz” e a tutte le iniziative collaterali. Beh, non sa suonare la batteria, ma può sempre imparare…

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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La piccola, ma fornitissima biblioteca di RestArt-Novara jazz, situata nel cuore antico della città sta per arricchirsi di un nuovo prezioso volumetto, edito nel 2022 da “Minimum fax” il cui autore, Marco Molendini, giornalista del Messaggero, critico musicale e “bon vivant” della Roma degli anni Sessanta (ma anche un po’ prima) e Settanta (ma anche un po’ dopo), ha deciso di raccontare la storia di un singolarissimo musicista e animatore musicale a cui il jazz italiano deve molto: “Pepito Pignatelli, il principe del jazz”.

Il libro è provvisoriamente nelle mie mani, poiché Corrado Beldì che di jazz se ne intende, e non poco, ha deciso di prestarmelo e quindi non potevo proprio esimermi dallo scrivere qualche riga. Chi era Pepito? Un Pignatelli (famiglia nobile romana) che divenne una delle anime del jazz della capitale, e quindi italiano, e la narrazione di questa avventura fatta da Molendini è spigliata, divertente e ricca di aneddoti. La vita di “Pepito” fu tutta dedicata la jazz, tanto da essere diseredato dalla famiglia, proprio per questa sua scelta (e la sua relativa vita dissoluta).

Pepito è stato un valente batterista, ma assai più un organizzatore e un animatore della scena jazz, come si direbbe oggi, e anche un imprenditore sui generis, tanto che aprì locali storici del jazz italiano come il “Blue Note” e soprattutto il “Music Inn” di Roma, inizialmente poco più che un’umida cantina nei pressi di San Giovanni dei Fiorentini, a due passi dal Tevere. Con Alberto Alberti sostenne e testimoniò la nascita di quella grandissima manifestazione che è Umbria Jazz. Insomma un libro che va letto e gustato, poiché queste pagine sono attraversate giganti come Mal Waldorn (che suonò con lo stesso Pepito), Charlie Mingus, Chet Baker, Dexter Gordon, Lee Monitz, Gato Barbieri e tanti italiani come Romano Mussolini, Enrico Pierannunzi, Antonello Salis… Irresistibili le pagine dialogiche che Marco Molendini decide di scrivere in romanesco e che rendono ancora più credibile un personaggio che, come la sua vita, ha molti tratti di incredibilità.

Purtroppo quello stesso mondo, fu anche un mondo di dissolutezza e di droghe che determinarono la prematura scomparsa di molti dei protagonisti di quella vicenda. Il libro è denso di fatti e circostanze, in una Roma che è stata palcoscenico di arte contemporanea e cultura (da Twombly a Dario Bellezza). Purtroppo anche Pepito fu vittima di questa vita irregolare e dissoluta, lasciando poi nella disperazione la bellissima moglie Picchi, mentre il jazz cedette (non si può fare a meno di notarlo) questa ombra di maledizione al nascente rock. Un libro però anche pieno di nostalgia dove “…Quel che era vicino si allontana e quel che era lontano è accanto a te…”, come dice il verso di una famosa canzone di Francesco Guccini. Un libro naturalmente imperdibile per chi ama il jazz.

In fondo Corrado Beldì è un po’ il Pepito della nostra città per le sue straordinarie capacità organizzative e per l’incessante lavorio intorno a “Novara Jazz” e a tutte le iniziative collaterali. Beh, non sa suonare la batteria, ma può sempre imparare…

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