Circa un anno fa Putin decideva di dare il via alla “missione speciale” (leggasi guerra) contro l’Ucraina. Da allora e, durante tutto questo lungo anno, abbiamo visto le drammatiche e crude immagini dell’invasione, abbiamo visto le fotografie, i video, abbiamo sentito dalla viva voce degli ucraini le testimonianze, le grida di dolore, i pianti sgomenti, le urla di rabbia, le preghiere. Abbiamo letto decine e decine di articoli, riviste, libri, così come abbiamo ascoltato dibattiti televisivi. Insomma siamo (molti di noi lo sono), iper informati sul conflitto, ma anche sulle strategie e sugli interessi in gioco. Potremmo quasi dire che sappiamo tutto o quasi tutto della guerra, anzi dell’invasione e della guerra di resistenza dell’Ucraina. Cosa può aggiungere a questa montagna di informazioni una graphic novel? Può aggiungere molto, anzi si può dire che può aggiungere qualcosa di essenziale perché il segno grafico ha uno status del tutto particolare, rispetto al testo scritto o all’immagine televisiva e cinematografica.
A differenza della scrittura che è pensiero codificato, a differenza dell’immagine che è immagine mentale, il disegno è anche corpo. Per questo il fumetto, o meglio la grafic novel, è fortemente emozionale. Se il primo e il secondo volume di “Quaderni ucraini” di Igort, analizzavano fatti dolorosissimi, ma lontani da noi nello spazio e nel tempo, come l’annessione dell’Ucraina da parte del potere bolscevico o la deportazione dei Kulaki ad opera di Stalin nel 1931, oppure l’Holodomor, ovvero la carestia provocata dolosamente dall’ex Unione sovietica per far letteralmente morire di fame gli ucraini, il terzo volume dei “Quaderni Ucraini”, (uscito per Oblomov Edizioni da qualche mese), ci porta direttamente dentro gli episodi di questi ultimo anno, primo anno della guerra di Sua Maestà, genio della perfidia, Vladimir Putin. La cronaca di Igort è quella nuda e cruda che già conosciamo, vi sono narrati tutti i fatti essenziali dell’invasione e il disegno è, naturalmente, il valore aggiunto. Il segno di Igort è analitico, ma possiede intrinsecamente una intimità del tutto particolare, cioè i disegni sembrano fatti dall’autore per sé medesimo, come quelli di un diario intimo o un quaderno personale. Le vicende raccontate sono tutte tratte da storie vissute, o testimonianze e l’andamento narrativo è quello tipico igortiano che alterna schede illustrate a pagine di vera e propria “band dessinée”.
Le due tavole di apertura, con il cielo buio abitato da spettrali colonne di fumo, cupe e terribili, pur nella loro semplice linearità grafica, sembrano essere l’introduzione drammatica ed apocalittica di tutto il volume che prosegue con un breve paragrafo, intitolato “Cronache dal telefono”, elemento divenuto ormai, nelle guerre recenti, il principale medium di ogni conflitto, con la sua possibilità di comunicare tutto e subito, di trasmettere suoni ed immagini fisse o in movimento. Il punto di vista dell’autore non si ferma al versante ucraino del conflitto, ne “La triste storia del soldato russo che non voleva capire” viene magistralmente illustrata la vicenda di Evgenij, soldato di marina imbarcato nella Flotta del Nord e convinto di partecipare, come tanti altri giovani russi, ad una esercitazione militare ed invece , di fatto, catapultato in una guerra vera e sanguinosa in cui decide di non combattere e pertanto viene “accidentalmente ” assassinato da un camion militare in transito, come nella più classica delle tradizioni russe. Tante sono le storie raccontate nel prezioso volume di Igort, tra le quali vorrei ricordare quella della distruzione e del massacro del teatro di Mariupol nel ventesimo giorno dell’invasione russa, raccontata da poche tavole dal segno scarno e di possente drammaticità.
Struggente il racconto di Anna De Riune, donna ottantatreenne, che durante i bombardamenti cercava rifugio dentro un armadio sotto un cumulo di coperte. Raffinate e solennemente angoscianti nel loro nero e seppia, le tavole a doppia pagina che ci trasportano nel terribile assedio ai resistenti delle acciaierie Azovstal. Igort ricorda che, mentre il libro va in stampa, la guerra continua e rivolgendosi idealmente al tiranno moscovita conclude ricordando che “Il mondo è libero, Signor Putin, checché lei e la sua corte ne pensiate”. Ricordiamocelo sempre anche noi…