È difficile parlare di un libro di poesia, scritto però nella forma di un saggio. Un libro disordinato, come lo chiama la sua autrice. Il libro è “Questo immenso non sapere” di Chandra Candiani, edito da Einaudi. Chandra Candiani è una poetessa o forse una “meditatrice” o forse solo una donna. Una donna che medita e che ci offre il frutto tormentato delle sue meditazioni in questo libro indefinibile, denso, prezioso, complesso e semplice allo stesso tempo e, dipende un po’ dall’intenzionalità di chi lo legge, se farlo apparire complesso o semplice. Di questi libri è estremamente difficile scrivere, poiché trattare un argomento a discapito di un altro, è un po’ come fare delle scelte arbitrarie e quasi sempre sbagliate. Ma come l’autrice ci insegna, l’errore va accettato con indifferenza, senza l’impellente necessità di pensare che debba fornirci chissà quale indicazione operativa o insegnamento morale.
I libri sulle “meditazioni” non incontrano quasi mai il mio incondizionato consenso: sono troppo strutturati, troppo banalmente didattici, troppo fideistici. Ma questo è oggettivamente un libro diverso. A detta della stessa autrice è un libro disordinato, dove accanto alla meditazione per antonomasia, ovvero quella buddhista (a lungo praticata dall’autrice) si affiancano meditazioni “altre”. Mi verrebbe da scrivere che questa è la versione riuscita del “pastiche” di Emmanuel Carrère “Yoga”, la cui tesi di fondo era che la meditazione possa trovarsi ovunque. Anche per la Candiani, pur forte della base della meditazione buddhista, la meditazione è principalmente il senso di meraviglia con il quale dobbiamo abituarci a guardare al mondo, anzi “ai mondi”, perché la vera meditazione non può avvenire disgiungendo il mondo umano da quello animale e da quello vegetale. E qui, forse, il riferimento più pregnante sarebbe quello ad un altro poderoso volume sulla meditazione, “Il cacciatore celeste” di Roberto Calasso, ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. “Gli animali e gli alberi insegnano a non sapere, a tollerare di stare al mondo senza l’ossessione di capire”, scrive la Candiani. Ed è proprio questa la chiave di lettura sia del libro che del concetto di meditazione.
La condizione della meditazione è il silenzio e, naturalmente, non solo quello fisico, qui non si tratta del semplice tacere, ma di una predisposizione più generale a far tacere il superfluo. Occorre, per citare Saint Exupery, “Il faut s’habiller le coeur”, come spiegava la volpe al Piccolo Principe. Non poteva certo mancare, in un libro così, un riferimento diretto ai tempi incerti che ci troviamo a vivere: di fronte ad un imponente tsunami, tra persone travolte dalla potenza delle onde, un monaco buddhista, con apparente cinismo, osservava: “Che grande opportunità di risveglio!” Anche nel nostro “tempo tragico”, l’autrice si affida alla fiducia nella non-conoscenza. Si badi, che questo non significa affatto sfiducia nella scienza, bensì, rinunciare al tentativo di dare sempre e comunque una “spiegazione” a ciò che accade, rinunciare alla nostra indistruttibile voglia di “riconoscimento”, a vantaggio di una accettazione della cose nel loro accadere e di una coscienza di quanto sia pericoloso vivere.
Imparare ad accettare il male nella convinzione che si possa, nel silenzio e nella meditazione, imparare ad avere “a che fare con i grandi ustionati” e ricordarsi che “il male non è abituato al bene e lasciandolo essere, togliendo la parola ai pensieri che lo commentano, trova la porta del cuore e si riposa”. In fondo torna nel libro della Candiani, l’insegnamento di Lao-Tsu: “Quando nasce, l’uomo è debole e flessibile; alla morte è forte e rigido”. Un libro di una estrema lucidità, sotto l’apparenza di un marasma di sentimenti confusi. “La meditazione è semplice: sedersi in silenzio, camminare, sdraiarsi, stare in piedi, dedicarsi ai gesti quotidiani con la mente raccolta (…) abbandonarsi non a una deriva, ma a una consapevole fiducia, nelle vie sottili, nel non afferrare, nel non respingere…” Il libro si conclude con una delle più belle pagine che abbia mai letto, tra le tante ormai lette, sulla pandemia che ci troviamo a vivere.
Scrive Chandra Candiani: “Ho una sensazione strana e per me davvero inedita: mi sento adatta a questa epoca. Proprio questa, con la pandemia, il crollo economico, la politica miserabile, la confusione, l’assenza dei sogni sul futuro(…) questa con la fame, con la fuga dalla guerra e dalla violenza, per incontrare naufragi, altra violenza, rifiuto, indifferenza (…) E perché ho conosciuto proprio all’inizio il peggio dell’umano e ho passato la vita a ricucire brandelli di fiducia perduta, a cercare di orientarmi in un mondo disorientante. (…) Ho preso una decisione: diventerò una persona serena (…) Non concederò più il tempo alle voci che profetizzano solo il crollo senza sentire la necessità di cadere per potersi rialzare. Non ascolterò le voci che dicono ‘Andrà tutto bene’ (…) Starò con il male come il male, senza infiorarlo né velarlo, lascerò che passi in me come una tempesta e gli domanderò cosa sente perché percuote furiosamente tutto, perché non si lascia ascoltare.
E ho un’indomabile fiducia. In cosa? Non lo so, è senza nome.”