Roberto Calasso, Bobi

Il giorno della morte di Roberto Calasso, la sua casa editrice, Adelphi, ha pubblicato due esili volumetti: “Memé Scianca” e “Bobi”. Il primo è un diario sui generis, il secondo potremmo definirlo un ricordo personale del co-fondatore della casa Adelphi, ovvero Roberto Bazlen, detto “Bobi”. Non si tratta di un ricordo organico, ma piuttosto di una serie di illuminazioni (per noi lettori, più che per l’autore), che rivelano un persona, le cui caratteristiche tuttavia sono quelle di un personaggio molto particolare, bizzarramente curioso, fuori dall’ordinario, schivo ma in comunione con il mondo, anzi con i mondi che andava scoprendo.

Il “cugino Bobi” come lo sentiva chiamare Calasso da Giorgio Settala, era un passo al di là di tutti… Fu lui ad indirizzare Adelphi verso un sapere “diverso”, per il mondo della cultura italiana degli anni Quaranta, quello della saggezza orientale, quello dell’ebraismo, ma anche della Mitteleuropa. Secondo Calasso, Bazlen era la persona più adatta a vedere il “dettaglio luminoso”, uno “sciamano in abito borghesi”, come amava chiamarlo. Bazlen dischiuse alla nascente Adelphi, un mondo sconosciuto e diede accesso ad una letteratura non “piana”, irrazionale, misteriosa, persino magica. “Primavoltità” amava dire Bazlen, cioè la prima volta che qualcosa era accaduto e chi gli aveva dato un nome. “Tutto il primo Novecento era stato un seguito di ‘primavoltità’.

E questo valeva per Dada come per l’Oriente. Quando in Germania presso Diederichs e Insel, cominciarono ad essere pubblicati alcuni libri capitali, che andavano ben oltre i confini dell’Occidente, inclusi i classici taoisti, i primi lettori avevano diritto a richiamarsi alla ‘primavoltità’…”, scrive Calasso. Fu lui a voler tradurre Elias Canetti, crocevia egli stesso di lingue lette e “salvate”. Bazlen non fu mai indulgente con le scritture troppo facili e vittima ne fu lo stesso Calasso che, ricorda nel libro, i suoi tentativi per dissuaderlo dalla scrittura: ” …Ostacolo da superare il prima possibile, anche se quasi inevitabile per chi è giovane…”. Insomma “Bobi” svela Roberto Bazlen come un personaggio fuori dagli schemi, anzi fuori da qualsiasi schema e la prova provata che si fosse trattato di un uomo geniale, è l’incantevole creatura che la mente di quest’uomo partorì, con la collaborazione di Calasso, ovvero la casa editrice Adelphi.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Roberto Calasso, Bobi

Il giorno della morte di Roberto Calasso, la sua casa editrice, Adelphi, ha pubblicato due esili volumetti: “Memé Scianca” e “Bobi”. Il primo è un diario sui generis, il secondo potremmo definirlo un ricordo personale del co-fondatore della casa Adelphi, ovvero Roberto Bazlen, detto “Bobi”. Non si tratta di un ricordo organico, ma piuttosto di una serie di illuminazioni (per noi lettori, più che per l’autore), che rivelano un persona, le cui caratteristiche tuttavia sono quelle di un personaggio molto particolare, bizzarramente curioso, fuori dall’ordinario, schivo ma in comunione con il mondo, anzi con i mondi che andava scoprendo.

Il “cugino Bobi” come lo sentiva chiamare Calasso da Giorgio Settala, era un passo al di là di tutti… Fu lui ad indirizzare Adelphi verso un sapere “diverso”, per il mondo della cultura italiana degli anni Quaranta, quello della saggezza orientale, quello dell’ebraismo, ma anche della Mitteleuropa. Secondo Calasso, Bazlen era la persona più adatta a vedere il “dettaglio luminoso”, uno “sciamano in abito borghesi”, come amava chiamarlo. Bazlen dischiuse alla nascente Adelphi, un mondo sconosciuto e diede accesso ad una letteratura non “piana”, irrazionale, misteriosa, persino magica. “Primavoltità” amava dire Bazlen, cioè la prima volta che qualcosa era accaduto e chi gli aveva dato un nome. “Tutto il primo Novecento era stato un seguito di ‘primavoltità’.

E questo valeva per Dada come per l’Oriente. Quando in Germania presso Diederichs e Insel, cominciarono ad essere pubblicati alcuni libri capitali, che andavano ben oltre i confini dell’Occidente, inclusi i classici taoisti, i primi lettori avevano diritto a richiamarsi alla ‘primavoltità’…”, scrive Calasso. Fu lui a voler tradurre Elias Canetti, crocevia egli stesso di lingue lette e “salvate”. Bazlen non fu mai indulgente con le scritture troppo facili e vittima ne fu lo stesso Calasso che, ricorda nel libro, i suoi tentativi per dissuaderlo dalla scrittura: ” …Ostacolo da superare il prima possibile, anche se quasi inevitabile per chi è giovane…”. Insomma “Bobi” svela Roberto Bazlen come un personaggio fuori dagli schemi, anzi fuori da qualsiasi schema e la prova provata che si fosse trattato di un uomo geniale, è l’incantevole creatura che la mente di quest’uomo partorì, con la collaborazione di Calasso, ovvero la casa editrice Adelphi.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.