Il bello dei festival è che in pochi giorni si concentrano un numero di concerti (non li chiamo “eventi”perché il termine mi fa venire l’orticaria), strabiliante. È il caso di “JazzMi” che in dieci giorni offre più di un centinaio di concerti in punti diversi della città e in orari che coprono l’intero arco della giornata. Ma, nel suo piccolo (che poi non è tanto piccolo), Novara Jazz in edizione autunno-inverno si difende più che bene, offrendo sempre ai novaresi (più distratti dalle sagre di paese che non dalla musica di qualità), tantissimi concerti con cadenza settimanale, anche in locali e nuovi spazi. Sabato scorso, scegliendo nell’ampio spettro delle possibilità, mi sono dedicato alla straordinaria Artchipel Orchestra diretta dal vulcanico Ferdinando Faraò e che insieme al poliedrico Jonathan Coe, jazzista ma anche scrittore, si sono esibiti sul palco del Teatro dell’Arte di Milano.

Per la sera non mi sono fatto mancare due piccole chicche di Novara Jazz allo Spazio Nòva: Simone Quatrana al piano solo e un promettente duo svizzero, “Hely” composto da Luca Fries al pianoforte e da Jonas Ruther alla batteria. Jonathan Coe non è certo una sorpresa, con le sue composizioni “bristish-progressive” definite dal suo autore come “Unnecessary Music” e ibridate dal magnifico ensemble jazz diretto da Faraò. Un ensemble a dir poco sontuoso composto da sedici elementi, che amalgama la musica vitalistica di Coe con un jazz che sa di groove, ma ha anche tanti altri sapori e che in fondo è solo jazz e, forse, solo musica della miglior qualità.

Pubblico entusiasta al Teatro dell’Arte, uno dei cuori pulsanti di JazzMi. Molto più intima e raccolta l’atmosfera allo Spazio Nòva, ormai luogo fisso per i concerti autunno-inverno di Novara Jazz. Apre la serata Simone Quatrana, in stato di grazia che riesce a far convivere tra loro sonorità intimistiche, senza rinunciare al più ardito sperimentalismo. Quando un pianista fruga nella pancia del suo strumento, solitamente, metà del pubblico fugge o quantomeno si spaventa; il miracolo che ho visto compiere spesso da questo magnifico pianista, sta proprio nel saper invece suscitare stati d’animo lirici con i mezzi (stavo per dire armi), proprie delle avanguardie.

Di grande interesse anche la seconda parte del concerto del duo Hely. Secondo un noto principio surrealista la bellezza può essere data anche “dall’incontro di un ombrello e di una macchina da cucire su un tavolo anatomico” e, bisogna ammettere, che l’incontro tra un pianoforte ed una batteria, potrebbe assomigliarvi. Certo è che questo incontro avrebbe potuto dar luogo anche ad epocali disastri (sonori), mentre Luca Fries e Jonas Ruther da Zurigo, hanno saputo incantare il pubblico con un’azzeccato equilibrio delle composizioni, dove nessuno dei due strumenti prevale mai sull’altro ed entrambi conservano la propria autonomia e, soprattutto, la propria dignità. Sarebbe stato facilissimo far giocare alla batteria un ruolo secondario o di mero accompagnamento e questo non è accaduto.

Pezzi molto centrati sulle note e gli accordi gravi del pianoforte che hanno, come contro canto, una batteria sempre delicatamente presente e stimolante. “Lullaby” composizione finale offerta come bis, ha procurato al pubblico quei brividi di piacere che solo la grande musica sa procurare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Sabato in jazz

Il bello dei festival è che in pochi giorni si concentrano un numero di concerti (non li chiamo “eventi”perché il termine mi fa venire l’orticaria), strabiliante. È il caso di “JazzMi” che in dieci giorni offre più di un centinaio di concerti in punti diversi della città e in orari che coprono l’intero arco della giornata. Ma, nel suo piccolo (che poi non è tanto piccolo), Novara Jazz in edizione autunno-inverno si difende più che bene, offrendo sempre ai novaresi (più distratti dalle sagre di paese che non dalla musica di qualità), tantissimi concerti con cadenza settimanale, anche in locali e nuovi spazi. Sabato scorso, scegliendo nell’ampio spettro delle possibilità, mi sono dedicato alla straordinaria Artchipel Orchestra diretta dal vulcanico Ferdinando Faraò e che insieme al poliedrico Jonathan Coe, jazzista ma anche scrittore, si sono esibiti sul palco del Teatro dell’Arte di Milano.

Per la sera non mi sono fatto mancare due piccole chicche di Novara Jazz allo Spazio Nòva: Simone Quatrana al piano solo e un promettente duo svizzero, “Hely” composto da Luca Fries al pianoforte e da Jonas Ruther alla batteria. Jonathan Coe non è certo una sorpresa, con le sue composizioni “bristish-progressive” definite dal suo autore come “Unnecessary Music” e ibridate dal magnifico ensemble jazz diretto da Faraò. Un ensemble a dir poco sontuoso composto da sedici elementi, che amalgama la musica vitalistica di Coe con un jazz che sa di groove, ma ha anche tanti altri sapori e che in fondo è solo jazz e, forse, solo musica della miglior qualità.

Pubblico entusiasta al Teatro dell’Arte, uno dei cuori pulsanti di JazzMi. Molto più intima e raccolta l’atmosfera allo Spazio Nòva, ormai luogo fisso per i concerti autunno-inverno di Novara Jazz. Apre la serata Simone Quatrana, in stato di grazia che riesce a far convivere tra loro sonorità intimistiche, senza rinunciare al più ardito sperimentalismo. Quando un pianista fruga nella pancia del suo strumento, solitamente, metà del pubblico fugge o quantomeno si spaventa; il miracolo che ho visto compiere spesso da questo magnifico pianista, sta proprio nel saper invece suscitare stati d’animo lirici con i mezzi (stavo per dire armi), proprie delle avanguardie.

Di grande interesse anche la seconda parte del concerto del duo Hely. Secondo un noto principio surrealista la bellezza può essere data anche “dall’incontro di un ombrello e di una macchina da cucire su un tavolo anatomico” e, bisogna ammettere, che l’incontro tra un pianoforte ed una batteria, potrebbe assomigliarvi. Certo è che questo incontro avrebbe potuto dar luogo anche ad epocali disastri (sonori), mentre Luca Fries e Jonas Ruther da Zurigo, hanno saputo incantare il pubblico con un’azzeccato equilibrio delle composizioni, dove nessuno dei due strumenti prevale mai sull’altro ed entrambi conservano la propria autonomia e, soprattutto, la propria dignità. Sarebbe stato facilissimo far giocare alla batteria un ruolo secondario o di mero accompagnamento e questo non è accaduto.

Pezzi molto centrati sulle note e gli accordi gravi del pianoforte che hanno, come contro canto, una batteria sempre delicatamente presente e stimolante. “Lullaby” composizione finale offerta come bis, ha procurato al pubblico quei brividi di piacere che solo la grande musica sa procurare.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.